di Raffaele Delvecchio
Giovedì 10° aprile è stato presentato alla Luiss il libro di Giovanni Pino “Uno studio su Gino Giugni e il conflitto collettivo” (ediz. Giappichelli, 2014); l’incontro, presieduto dal pro-rettore prof. Roberto Pessi, s’è tenuto presso la facoltà di Giurisprudenza e ha visto la partecipazione di Andrea Ricciardi, Silvana Sciarra, Raffaele Morese, Franco Liso e dell’autore (capo di gabinetto dell’Autorità di garanzia sugli scioperi nei servizi essenziali).
Com’era naturale attendersi, il dibattito sviluppatosi grazie agli spunti offerti da Pessi ha aiutato ad attualizzare la riflessione sulle idee del Maestro e a cogliere gli elementi utili all’odierno sistema di relazioni industriali (Sciarra ha fatto notare che si deve a Giugni persino l’introduzione nel lessico accademico e poi quotidiano dell’espressione ora ricordata).
Il punto dal quale un po’ tutti gli interlocutori sono partiti è che l’impostazione di metodo (partire dai problemi, secondo i canoni appresi presso la Scuola del Wisconsin e integrando la lezione di Ascarelli) aiutò Giugni a considerare il conflitto come motore fisiologico della relazione tra le parti finalizzata al raggiungimento di regole di composizione (come ha più volte ricordato Kissinger, il problema non è iniziare ma avere un’idea di come terminare il conflitto). Questo metodo, inoltre, fu il punto archimedeo sul quale egli basò la collaborazione alla Scuola Cisl di Firenze (simbolo di eccellenza formativa sindacale nell’Europa di quegli anni), dov’era stato invitato da Mario Romani, storico dell’economia, studioso del sistema sindacale americano e primo collaboratore di Giulio Pastore.
L’analisi di merito si è focalizzata in particolare sulla teoria dell’ordinamento intersindacale e sulla legge 300 del 1970.
Due temi apparentemente lontani, invece attuali: basti pensare alla compiutezza di regole raggiunta dalle parti sociali con il trittico di accordi interconfederali intervenuti fra il 2011 e il 2014 (così Pessi).
Due temi apparentemente staccati, invece collegati dal filo conduttore reso dall’opzione tra legge e contratto: oggi c’è troppa legge e troppo poco contratto, anche perché al contratto è stata sottratta tutta l’area del lavoro precario autonomo (così Morese). Rapporto tra legge e contratto che pose Giugni nel mezzo di una dialettica critica, da un lato rappresentata dalla Cisl e dall’altro dalla sinistra giuridica, che ebbe in Natoli l’esponente più autorevole. Non uno statuto dei sindacati contro quello dei lavoratori, ma la progressiva acquisizione che il sindacato in azienda persegue come meglio non si potrebbe la tutela del lavoratore (così Liso). Oggi che quell’idea è entrata nel sangue del sistema di relazioni industriali, possiamo apprezzare meglio un esito del trittico sindacale sopra citato: il contratto firmato si rispetta (ancora Liso). La considerazione ora svolta ha introdotto l’ultimo aspetto esaminato nel corso del dibattito: quello relativo ad un’apparente contraddizione fra la teoria dell’ordinamento intersindacale e la fedeltà di Giugni alla concezione dello sciopero come diritto individuale a esercizio collettivo (così Pino). Ma come ha detto D’Antona (cui il libro è dedicato, perché Pino studiò e si laureò con il compianto studioso) “per titolarità collettiva del diritto di sciopero si può intendere una versione organicistica della libertà sindacale”, istituendo un nesso tra diritto costituzionale di sciopero libertà di organizzazione sindacale (artt. 40 e 39 della Costituzione).