di Nunzia Penelope
Sorpresa: siamo un paese di sinistra. O, quanto meno, di centro sinistra. Dopo vent’anni di berlusconismo, dopo l’irresistibile ascesa del populismo grillino, dopo mesi di scandali economici, finanziari e politici di ogni tipo, dopo la campagna elettorale più brutta, sbracata e volgare della storia, non era affatto scontato che la mattina del 26 maggio 2014 l’Italia si svegliasse nella parte sinistra del letto. No, per niente, anzi: era del tutto imprevedibile.
E infatti, nessuno lo aveva previsto. Non i sondaggisti, che ormai danno i numeri al lotto da tempo, ma che mai, nella loro storia, avevano sbagliato tanto clamorosamente ogni previsione; e ci sarebbe da chiedersi come compongono i loro campioni di cittadini, se poi quel che vien fuori è così sideralmente lontano dalla realtà. Non i giornalisti, che in queste ultime settimane hanno riempito colonne di piombo solo per dire che Annibale era alle porte, Grillo ormai in testa, Renzi ormai fritto. Ma nemmeno i protagonisti della campagna elettorale, probabilmente, avevano la minima percezione di come stavano realmente andando le cose. Lo stesso Renzi, in una delle sue ultime interviste televisive, a Otto e mezzo su La7, ha detto testualmente che il Pd pensava di prendere “qualche voto in più delle politiche 2013”, e che Grillo avrebbe preso “qualcosa in meno”. Di fatto, invece, il Pd ha preso due milioni e mezzo di voti in più, e Grillo tre milioni in meno. Un esodo di massa, che si è trasformato in un successo senza precedenti per il partito democratico. Mai nella storia era stato nemmeno ipotizzato di poter superare, addirittura, il 40%. Come ha notato Renzi, minimalisticamente, nella conferenza stampa della vittoria: ‘’quant’è che abbiamo preso? Il 40, il 41?”. Il 40,8%, per l’esattezza: e se si tiene conto che il benchmark su cui regolarsi era il mitico 33% di Veltroni, si può capire anche l’entità del successo della sinistra.
Un successo “di sinistra”, checché se ne dica. Lo dimostra anche l’affermazione della lista Tsipras, che con risorse davvero minime e pochissimo clamore mediatico (a parte quello sulla famosa foto in bikini di Paola Bacchiddu, la portavoce del movimento) ha superato la soglia di sbarramento, unico tra i piccoli nuovi partiti in lizza. Un successo di sinistra anche perché segna, per la prima volta da vent’anni, la concreta uscita di scena di Silvio Berlusconi, confinato non solo ai servizi sociali, ma anche in uno sparuto 16%. Quanto ad Alfano, l’ex delfino della nuova destra di governo è poco sopra alla Tsipras.
In sostanza, i voti che sono andati a Renzi – e non sono andati ad altri – sono voti che tornano a casa: voti che erano in fuga dal 2008, cioè da quando, per la seconda volta, il centro sinistra, dopo aver ri-vinto le elezioni con Prodi, per la seconda volta lo aveva ri-fatto cadere. Errori che gli elettori non perdonano, e infatti: molti avevano disertato le urne, o avevano dato il voto a Grillo.
Quanto ha pesato la paura? Parecchio, certo. Ha pesato la campagna sguaiata del Cinque Stelle, ha pesato la palese incapacità di un partito che conta 150 parlamentari e milioni di elettori di proporre qualcosa, qualsiasi cosa, che non sia un generico “tutti ladri, tutti a casa”. Ha pesato, anche, il problema generazionale. L’età avanzata dei due leader, Grillo e Casaleggio, entrambi visibilmente anziani, capelli grigi, fisico appesantito, è stato, nei confronti dell’elettorato più giovane, un notevole handicap. Non sembri frivola, come considerazione: nella società dell’immagine, doversi confrontare con i fisici snelli, i volti freschi e i sorrisi dei ‘’renziani’’ (a prescindere, e lo sottolineo, dalle loro competenze) non è banale. In cosa si identificano maggiormente i giovani: con un anziano zio irascibile, o con un loro coetaneo, con cui magari litigare, ma alla fine parlare la stessa lingua, indossare gli stessi jeans, ascoltare le stesse canzoni, fare gli stessi sogni, costruire gli stessi percorsi?
Resta, naturalmente, che i Cinque stelle sono al momento il secondo partito di questo paese. Doppiato dal centro sinistra, certo, ma pur sempre il secondo. In una ipotetica competizione elettorale, sarebbero Pd e Movimento a contendersi il ballottaggio. Sempre che sia necessario: con l’affermazione odierna, il Pd potrebbe tranquillamente farcela anche al primo turno.
Ma le politiche, per ora, sono lontane. Renzi stamattina ha confermato che si voterà alla scadenza naturale del 2018, e per quell’epoca è facile immaginare una rivoluzione completa del quadro politico italiano. Lo scenario più fisiologico sarebbe quello che vede uscire di scena, definitivamente, sia Berlusconi che lo stesso Grillo, sostituiti da diversi e più giovani leader. Ancora Renzi, ha riconosciuto l’onore delle armi sia agli elettori di Forza Italia che a quelli del M5S; a questi ultimi, in particolare, ha sostanzialmente detto “voi siete migliori di Grillo, lavoriamo assieme per ricostruire il paese”.
Nel frattempo, il leader del Pd, nonché premier, avrà parecchio daffare. Ci sono da portare a compimento tutte le riforme già messe in cantiere ma rimaste in stand by durante la campagna elettorale, che oggi Renzi ha la forza di portare avanti come crede. Il suo tallone d’Achille, l’onta del non essere passato per una legittimazione popolare, a questo punto è del tutto ininfluente: a legittimarlo, oltre ai due milioni di voti delle primarie, oggi ci sono anche gli 11 milioni di voti alle europee. Voti che sono andati al Pd, certo, ma soprattutto a Matteo Renzi. E dunque, avanti tutta con le riforme del lavoro, della pubblica amministrazione, del fisco, della giustizia, del Senato, della legge elettorale. Difficile che qualcuno possa mettersi di traverso. La stessa Cgil, che in questi tre mesi di governo non aveva mai mancato di infilzare il premier con critiche e polemiche di vario genere, oggi ha diffuso una nota molto più conciliante, dove si rimarca il valore di un risultato “straordinario” e “storico”, che “rimette al centro un’idea positiva di Europa e di buona politica”. “L’elettorato – prosegue la nota – non solo ha ricompensato le politiche redistributive ed espansive, anche se per ora solo abbozzate, adottate dal governo Renzi in questi primi mesi di governo, ma ha dato una chiara indicazione del verso necessario cui ispirare le politiche economiche e sociali di Bruxelles”.
Questo significa che perfino Susanna Camusso si è convinta e legittima le politiche del Governo Renzi? Vedremo: è possibile che l’atmosfera cambi già dal prossimo autunno, quando il governo dovrà mettere mano a una legge finanziaria che prevede lacrime e sangue, soprattutto se si avvereranno le previsioni che indicano, per i prossimi mesi, un ulteriore aumento della disoccupazione. Così come vedremo se le riforme di Renzi saranno all’altezza della fiducia che oggi gli italiani gli hanno consegnato assieme alle chiavi della stanza dei bottoni – con un consenso che nessuno, prima d’ora, aveva mai riscosso, a destra come a sinistra – o se si risolveranno nei soliti pasticci all’italiana. Ma per oggi, almeno, resta il fatto che mentre tutta l’Europa si è svegliata in un incubo di populismi, di trionfo della destra, di antieuropeismo, l’Italia si è invece dimostrata il paese più sensato, equilibrato, responsabile, e probabilmente anche più fortunato. E nemmeno questo, alla fine, era scontato.