Ventura, quali sono i settori che, ad oggi, in Piemonte stanno accusando maggiormente lo stato di crisi economica nazionale?
L’effetto crisi si è diffuso un po’ a macchia di leopardo, coinvolgendo il settore manifatturiero delle piccole e medie imprese, così come il settore edile e dell’indotto automotive. Non è stato risparmiato nemmeno il tessile: da sempre considerato un settore di punta in Piemonte, con produzioni specializzate per nicchie di eccellenza, già prima del 2008 ha iniziato a subire un crollo di produzioni.
E dal punto di vista della contrattazione quali sono i settori in cui avete registrato maggiori difficoltà?
Direi che non si può parlare di un settore specifico, ma ci si può riferire a esperienze più o meno positive. Per esempio, per quanto riguarda la contrattazione di secondo livello, in Piemonte stiamo registrando dei risultati positivi soprattutto sul capitolo del welfare aziendale.
Infatti, so che state sviluppando novità interessanti sul nuovo modello di welfare territoriale-aziendale. Può darci qualche elemento in più?
Le federazioni della Fim e della Femca, quindi metalmeccanici e chimici insieme, hanno deciso di iniziare questo percorso informativo e formativo rivolto alle Rsu e ai delegati territoriali, incentrato sulla possibilità di offrire ai lavoratori non solo diritti economici, ma anche di welfare, appunto. A partire da questa iniziativa si sono sviluppati degli accordi che definirei “atipici”. Ad esempio, con l’Alessi, produttrice di design, abbiamo raggiunto un accordo tramite il quale l’azienda ha deciso di mettere a disposizione del comune i propri dipendenti per lavori socialmente utili. Questo significa che l’azienda, anziché mettere in cassa integrazione i lavoratori a causa di un calo produttivo, ha continuato a tenerli in servizio, ma facendoli lavorare altrove.
Un altro esempio?
C’è il caso della Solvay, l’azienda belga che opera nel settore chimico e delle plastiche, che ha deciso di istituire un fondo contrattato per fornire assistenza sanitaria agli ex dipendenti, rafforzando così il sentimento di continuità aziendale, ma incrementando anche quello di identità territoriale. La contrattazione territoriale si sta quindi muovendo in questa direzione: da una parte rinforzare il legame tra l’azienda e il territorio e, dall’altra, cercare di far maturare gli interessi, non solo economici, ma anche di welfare, dei lavoratori.
Che rapporti avevate con la precedente giunta regionale e cosa potrebbe cambiare con l’insediamento della nuova giunta Chiamparino?
L’alternanza di giunte di centro-destra/centro-sinistra è un evento abbastanza abituale in Piemonte. L’aspetto positivo di questa costante alternanza è che essa stimola i propositi innovativi delle nuove giunte, aspetto che però porta con sé anche una conseguenza negativa, e cioè che proprio questa propensione all’innovazione conduce quasi sempre ad azzerare tutti i lavori svolti in precedenza e a riprenderli daccapo. Mi auguro, quindi, che nuova la giunta Chiamparino non continui a commettere questo stesso errore, ma che sia piuttosto disposta a rivedere ed eventualmente correggere quanto c’è di sbagliato, ma senza svolgere nuovamente gli stessi lavori, che spesso richiedono diversi anni, a partire da zero.
Cosa si aspetta, quindi, da questa giunta?
Più di ogni altra cosa mi auguro che questa giunta non metta gli steccati fra i settori e che sia invece favorevole a portare avanti le politiche regionali dei diversi settori in un’ottica unitaria. Credo, infatti, che gli stessi fondi europei previsti per il Piemonte, che sono tre, uno per politiche sociali, uno per quelle agricole e uno per le infrastrutture, vadano gestiti in maniera non settoriale ma globale. Infine un’altra questione di metodo, che spero venga presa in considerazione dalla giunta, riguarda il lavoro svolto in sinergia con il territorio: anche in questo caso, però, non affrontandolo tramite una programmazione comunale o provinciale, ma regionale.
Cosa proponete in particolare?
Le faccio un esempio: in Piemonte abbiamo ben 110 aziende dedite al trasporto locale. Noi della Cisl abbiamo proposto alla precedente giunta, e proporremmo a quella in carica, di istituire un’unica azienda dei trasporti regionale, in modo da generare quel meccanismo di mutua assistenza fra un sito e l’altro che riesca ad arginare gli effetti della crisi. Lo stesso ragionamento lo si può fare per il settore sanitario. Considerando che in Piemonte, ma non solo, ogni Asl è detentrice di un proprio sistema informatico, autonomo rispetto agli altri, anche in questo caso abbiamo proposto di investire in un prodotto tecnologico e informatico che funzioni per tutte le Asl e che metta a disposizione della regione uno strumento di coordinazione globale dei dati.
Come giudica il passaggio dalla concertazione alla rivendicazione deciso dagli esecutivi Cgil, Cisl e Uil?
Beh, guardi, io credo davvero che le parole abbiano un senso. Senso che è spesso figlio del tempo storico in cui questi termini sono stati creati. Come nel caso del termine “concertazione”, creato in un periodo storico in cui si necessitava di “concertare” fra loro più soggetti possibili, non solo il sindacato, ma tutte le parti sociali. E in quel momento la parola concertazione aveva un senso che oggi non ha più.
Perché?
In primis perché la politica “sembra”, e sottolineo “sembra”, aver iniziato a svolgere il proprio ruolo di avanzare proposte, coordinare e mettere in atto riforme. E poi perché questo ha permesso al sindacato di riappropriarsi del proprio ruolo che consiste nell’avanzare proposte e soprattutto verificare se le decisioni del governo vadano a vantaggio o meno dei soggetti che noi rappresentiamo, i lavoratori. Per queste ragioni io non vedo nulla di strano in questo passaggio storico, anzi, ritengo che oggi più che mai il sistema richieda un agire forte del sindacato, soprattutto in difesa dello stato sociale di tutti i cittadini; stato sociale inteso come diritto universale ai servizi statali che oggi, a causa della mancanza di risorse, rischia di essere smantellato. Ecco, credo che il sindacato, oggi, debba proprio fare questo: difendere lo stato sociale dal rischio di selettività del diritto che esso stesso rappresenta.