Durante, nel corso dell’iter legislativo, il sindacato tedesco ha dovuto rinunciare a qualche rivendicazione importante?
Più che rinunce sono state apportate una serie di modifiche al testo originario che non sono state discusse fra le parti, ma introdotte direttamente dal Parlamento. Queste modifiche, che riguardano alcune clausole di non applicazione del salario a certe classi di lavoratori, hanno provocato nella Dgb, la confederazione dei sindacati tedeschi, delle perplessità e anche delle critiche da parte del sindacato del terziario (VerDI) affiliato alla Dgb. Rimane però la soddisfazione, da parte di tutti i sindacati tedeschi, di essere riusciti a realizzare un cambio d’impostazione nelle politiche contrattuali del paese, finora sempre contrario a questo tipo di soluzioni salariali.
In che modo, quindi, è stato possibile operare questa svolta, convincendo il governo ad applicare una legge finora mai contemplata?
La svolta si è generata in seno al sindacato dei metalmeccanici (IgMetall) nel momento in cui ha cercato una soluzione al problema della diffusione di tutte quelle forme di lavoro precario, atipico e sottopagato, rispetto alle quali il sindacato aveva capacità di contrattazione pari a zero, che rischiavano di diventare il principale elemento del mercato del lavoro tedesco. La proposta, quindi, è nata dalla volontà di tutelare e rappresentare i lavoratori “irregolari” per impedire che la loro condizione di lavoro non contrattualizzato né retribuito determinasse la distruzione di quello “buono”.
Qual è il suo giudizio in merito alla legge appena varata? I suoi effetti saranno quelli sperati?
Uno degli obiettivi che, in maniera più che certa, la legge consentirà di conseguire sarà quello della stabilizzazione dei rapporti di lavoro, perché un salario minimo garantito di 8,50 euro l’ora rappresenta senza dubbio un miglioramento delle condizioni lavorative di tutti quei soggetti appena citati.
L’Italia è rimasta uno fra i pochi paesi europei a non possedere alcuna forma di sovvenzione statale minima garantita. Secondo lei, perché? Cosa ci rende diversi dalla Germania?
Fra il nostro paese e la Germania, in primo luogo, esiste un diverso assetto industriale, caratterizzato da piccole e medie imprese quello italiano, da medie e grandi imprese quello tedesco. Il che comporta anche una diversa situazione contrattuale, la quale risulta più difficile nel caso in cui le aziende interessate impieghino un basso numero di dipendenti. Ma più di tutto esiste, fra i due paesi, un diverso riconoscimento del ruolo del sindacato: in Italia abbiamo un primo ministro che considera “rituali del passato” certe attività come la contrattazione, la concertazione e così via, mentre in Germania la cancelliera Merkel incontra regolarmente il capo del sindacato. E così avviene per ogni governo che, a prescindere dalla bandiera, riconosce il ruolo di rappresentanza del mondo del lavoro rispetto al successo economico-politico di quel paese. Il modello tedesco è un esempio di “co-determinazione” che porta con sé un diverso modo di intendere il ruolo del sindacato.
Date queste condizioni, quali sono le vostre proposte per sviluppare un modello di reddito minimo garantito anche in Italia?
Il fatto è che noi abbiamo già definito la soglia di salario minimo garantito, rappresentata dai minimi salariali fissati nei contratti nazionali di categoria. Il problema è che manca una legge che ne garantisca l’applicazione, e qui si torna allo scarso peso delle proposte dei sindacati. Ma nello specifico noi, in quanto Cgil, proponiamo di pensare direttamente all’istituzione di un salario minimo a livello europeo, in modo da evitare quella concorrenza sleale che si viene a creare quando avvengono operazioni di dumping causato dalle differenze salariale.
L’istituzione di una garanzia salariale minima per tutti i lavoratori, creerà dei problemi ai sindacati tedeschi nell’esercizio delle proprie funzioni di rappresentanza?
Guardi, la considerazione che hanno fatto i nostri colleghi tedeschi è esattamente opposta. Attraverso l’istituzione di questa forma di reddito loro vogliono recuperare la propria funzione e autonomia contrattuale, iniziando a rappresentare tutti quei lavoratori che, finora, erano stati esclusi da qualsiasi tipo di tutela contrattuale. Il salario minimo, infatti, non è deciso dal governo, ma attraverso una trattativa fra governo e sindacati, i quali quindi avranno quindi un ruolo nella definizione del valore del salario minimo e svolgeranno questo rappresentando dei lavoratori precari.
Fabiana Palombo