Dopo lunga attesa, stamattina il governo ha presentato un emendamento al ddl Poletti che spazza via molte indiscrezioni rispetto alla volonta’ di Renzi di abolire tout court per decreto l’articolo 18 (ipotesi riportata stamattina dai maggiori quotidiani), apre ad alcune certezze, ma lascia insolute molte domande: aumentando ulteriormente –se possibile- la generale confusione sull’argomento lavoro.
Ma andiamo con ordine. Il testo dell’emendamento all’articolo 4 del ddl, elaborato in accordo tra governo e maggioranza, impegna l’esecutivo a “introdurre, per le nuove assunzioni, il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio”. L’emendamento precisa che il tutto e’ finalizzato a “ rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione”: scritto in questi termini, l’emendamento sembrerebbe dunque riferirsi a tutte le nuove assunzioni, non solo per i giovani al primo impiego, ma anche per chiunque passi da un lavoro all’altro.
Altro dubbio rispetto al concetto di tutele crescenti: di quali tutele si tratti non e’ precisato, e definirle sara’ compito dei decreti legislativi che dovranno essere varati entro sei mesi dall’approvazione della legge. Nel frattempo, come in Rashomoon, ognuno la racconta a modo suo.
Il presidente della commissione lavoro della Senato, Maurizio Sacconi, NCD, brinda all’abrogazione dell’articolo 18, sostenendo che per ‘’tutele crescenti in relazione all’anzianità’ di servizio’’ si intende solo il crescere dell’entità’ della somma che l’azienda dovrà versare al lavoratore come indennizzo del licenziamento: “E’ evidente che nel contratto tipico che ha oggi oltre l’80% degli italiani – è il ragionamento di Sacconi – la progressività della tutela non potrà che essere un indennizzo proporzionato, o più che proporzionato, al tempo trascorso nell’impresa. Non si parla più infatti di una nuova tipologia contrattuale, di una sorta di contratto di inserimento per il quale poteva avere senso la distinzione di due fasi di vita lavorativa”.
Il suo collega presidente della commissione lavoro della Camera, Cesare Damiano, la vede invece del tutto all’opposto. Tutela crescente, spiega, sottende appunto che dopo un determinato lasso di tempo, in cui il lavoratore sarà licenziabile anche senza motivazione, scatterà nuovamente la protezione dell’art 18 contro la rescissione del contratto di lavoro mancante di giusta causa, e ogni altra interpretazione e’ solo una ‘’lettura di comodo che arriva dal centro destra’’. E alla tesi di Sacconi sulla ‘’scomparsa’’ del contratto di inserimento replica che proprio questa e’ la miglior prova di esistenza in vita dell’art 18: “ se il contratto di inserimento lascia il passo al contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, questo significa che, al termine della progressione dei diritti, questi lavoratori avranno anche la tutela dell’articolo 18, come avviene attualmente quando un contratto è a tempo indeterminato”. Damiano ammette che l’emendamento, lungi dal far chiarezza, si presta a diverse interpretazioni, ma avverte: “la nostra battaglia continuerà sui capisaldi essenziali: la contrarietà ad una revisione radicale allo Statuto dei lavoratori, in linea con l’emendamento del governo; la difesa dell’articolo 18 per i nuovi occupati, assumendo come riferimento il ‘modello tedesco’ che prevede la reintegrazione del lavoratore”. Per quale motivo l’emendamento affronti in maniera cosi’ vaga un tema tanto delicato non e’ chiaro, ma del resto, oggi e’ cosi’ che vanno le cose, e che tipo di nuovo statuto dei lavoratori uscira’ dalle leggi delega lo sapremo solo tra diversi mesi. Dunque, che tutta la partita si giocherà in parlamento; oltre a Damiano, sulle barricate a difesa del 18 c’e’ gia’ anche la sinistra Pd di Stefano Fassina e di Pippo Civati. I sindacati, a loro volta, si portano avanti col lavoro, e minacciano uno sciopero generale che, stavolta, potrebbe perfino essere unitario.
Anche perche’ in ballo non c’e’ solo l’art 18. L’emendamento del governo, infatti, prevede anche l’abolizione del divieto di demansionare i lavoratori e di controllarli a distanza con telecamere. Tra le, diciamo, ‘’buone notizie ‘’ c’e’ l’estensione del salario minimo orario anche ai co.co.co e ai settori non regolati da contratti collettivi. Il nuovo testo conferma la prima parte, cioè che la delega dovrà prevedere “l’introduzione, eventualmente anche in via sperimentale, del compenso orario minimo, applicabile ai rapporti aventi ad oggetto una prestazione di lavoro subordinato” e aggiunge la frase: “nonché nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, nei settori non regolati da contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale. Infine, stando alle dichiarazioni odierne del premier (ma nell’emendamento non si affronta questo tema) la maternita’ dovrebbe essere estesa anche alle partite Iva.
Nunzia Penelope