L’articolo 18 è ormai “un’arma impropria in mano a chiunque non voglia cambiare il lavoro in Italia. Non è sicuramente questa la vera causa della nostra crisi economica e occupazionale e dei mancati investimenti in Italia di imprenditori nazionali e esteri. Ben prima vengono burocrazia, giustizia, fisco e tanto altro”.
Così Guido Carella, presidente Manageritalia, secondo il quale “è ancor più importante capire che nell’economia di oggi l’articolo 18 è di fatto una tutela spuntata per i lavoratori, che hanno una vita professionale media più elevata di quella delle aziende e devono conservare una professionalità, più che un posto di lavoro, sempre più mutevole, sempre meno stabile. Anche perché oggi reintegrare il lavoratore in un’azienda che non lo vuole, porta spesso a una “emarginazione” foriera di degrado professionale e psicologico.
“Quindi – osserva Carella – andiamo oltre l’articolo 18. Il contratto unico a tutele crescenti, con disincentivi per chi lo utilizza in modo improprio, è un buon modello, soprattutto se elimina una pletora di forme contrattuali che fanno solo confusione. Certo, deve essere il cavallo di troia di una flessibilità sana, indispensabile a aziende e lavoratori, e non un modo per nascondere quella precarietà così dannosa per imprese, lavoratori e sistema. Ormai è infatti appurato che le imprese che funzionano e competono meglio e fanno profitti e occupazione, sono quelle che puntano sulle persone e non su tagli di costi e teste. O lo capiamo e lo applichiamo, o non usciremo mai più dal tunnel. Anche se per farlo serve molto di più e una buona riforma del lavoro conta poco se non riformiamo anche il paese nella mentalità e nella realtà”.
F.P.