La fisica moderna nel riordinare il mondo fisico in un sistema coerente ha disegnato una nuova gerarchia tra visibile e invisibile. E la maggior parte della materia che costituisce il nostro universo e i nostri corpi è in realtà una “ black matter”, una materia scura di cui nulla sappiamo; intuibile per gli effetti gravitazionali che essa determina ( a partire dalla velocità circolare delle galassie) ma invisibile ai nostri occhi e ai nostri strumenti. Il mondo sociale non è diverso; e dietro ogni organizzazione complessa, partito o leader si muovono forze apparentemente invisibili che danno “forma” a tali soggetti. Il cerchio magico di Bossi, le società a scatole cinesi di Berlusconi, le cooperative rosse e il vecchio Montepaschi vicine alla sinistra “storica” ne sono un esempio. A questo destino non si sottrae neanche Renzi , e il suo cosiddetto giglio d’oro con tanto di finanzieri, industriali, banchieri e ridenti uomini e donne di successo, non è diverso dai precedenti. Non è dunque questa la novità. Il fatto nuovo è la sintesi hegeliana operata da Renzi tra destra e sinistra tra termini tradizionalmente antinomici; la sua riproposizione, finora vincente, delle ricette della destra che Berlusconi aveva tentato invano di tradurre in dispositivi. Il fatto nuovo è la stragrande maggioranza ottenuta in Direzione del Partito che ha messo all’angolo il dissenso e le diverse minoranze che lo esprimevano. C’è in questo un vero cambio di paradigma, una variazione di fase che Giuliano Ferrara vede come un passaggio di testimone ( da Berlusconi a Renzi); come un triplo salto generazionale che ha spazzato via i ferri vecchi della politica, noiosi e attaccati alla poltrona, portando al potere a una nuova genia di uomini: giovani, belli e post-ideologici.
Anche questa è tuttavia una narrazione parziale. La vera domanda riguarda invece la composizione sociale degli elettori che esprimono la loro preferenza per la “strana maggioranza” di sinistra/destra che sostiene Renzi e che si sostanza in Parlamento nella fortissima concordanza di voto tra parlamentari appartenenti al PD e al PdL
Questi due partiti , a ben vedere, rappresentano meno del 40% della popolazione. Quella parte della società che la crisi ha solo lambito , ( o in piccola parte rafforzato) e che, aldilà delle differenze ideologiche, sempre più labili, condivide la certezza di uscire prima o poi dal tunnel della recessione. La parte restante della popolazione è stata invece scaraventata dalla crisi nel fondaccio senza speranza, e questo 60% non appartiene a nessuno dei due partiti e affolla in modo confuso le file dell’astensionismo cronico , del grillismo palingenetico e del rancorismo leghista. Cosa possono dire a questi uomini senza prospettiva i dirigenti del PD, del PdL e del Sindacato salottiero? Cosa hanno in comune i tanti esponenti della politica tradizionale che si ritrovano insieme in Tribuna Montemario allo Stadio Flaminio o che risiedono in Prati e nei quartieri della Roma bene, con i diseredati senza speranza che affollano le periferie urbane o il meridione ripiombato nel medio Evo?
Questo è il vero problema: gli stili di vita tra esponenti di centrodestra e centrosinistra sono talmente sovrapponibili da rendere impossibile per quel 60% e più di popolazione, sprofondato in una apocalisse senza escathon, di riporre la ben che minima fiducia nei politici tradizionali: in soggetti che appaiono, nella ipotesi migliore, privilegiati indifferenti e totalmente lontani dai problemi reali della gente comune, Certo, c’è sempre una gerarchia nelle responsabilità. E il gioco che fanno i Renziani di attribuire la colpa della precarietà dei giovani e delle diverse decine di tipologia di contratto precario esistente ai sindacati è solo retorica a buon mercato. Eppure i renziani hanno ragione nel sostenere che la percezione dei giovani sia in parte anche questa! Perché il sindacato con i suoi riti, difficilmente comprensibili, e con il travaso di molti suoi dirigenti dalle confederazioni ai banchi del governo e del parlamento, ha purtroppo alimentato questa immagine di essere anche esso parte del sistema. E non per nulla leader ruvidi come Landini demarcano una differenza; e questa vicinanza anche somatica ai lavoratori che rappresenta lo rendono alternativo non solo ai suoi interlocutori politici ma anche a molti suoi colleghi di sindacato, Susanna Camusso compresa.
La convergenza al centro tra i due principali partiti nasce dunque, a mio avviso, dalla sovrapponibilità non marginale della propria base elettorale; ma questa è solo una piccola parte dell’intera società e allora il vero problema è di fare rientrare nel gioco democratico quella parte maggioritaria della popolazione senza speranza oggi espulsa dal lavoro e da una rappresentanza politica che sappia assumersi le proprie responsabilità.
Roberto Polillo