Ci sono pochi dubbi che il sindacalismo medico ( ma non solo quello) attraversi una crisi crescente di rappresentatività. E non solo nei confronti della categoria, al cui interno si registra una progressiva disaffezione con diminuzione del numero degli iscritti, ma anche e soprattutto nei confronti dei politici che si sono succeduti negli ultimi 10 anni alla guida del dicastero della Pubblica amministrazione e alla presidenza del Consiglio dei Ministri . Dopo il rullo compressore brunettiano che ha sottratto ai sindacati qualsiasi capacità negoziale in tema di organizzazione del lavoro è ora il turno del Presidente Renzi ad entrare a gamba tesa in materie che dovrebbero restare di esclusiva negoziazione tra le parti. Il casus belli è ora il comma 556 della legge di Stabilità che recita ne seguente modo:
“Ferme restando le competenze dei laureati in medicina e chirurgia in materia di atti complessi e specialistici di prevenzione, diagnosi, cura e terapia, con accordo tra Governo e Regioni, previa concertazione con le rappresentanze scientifiche, professionali e sindacali dei profili sanitari interessati, sono definiti i ruoli, le competenze, le relazioni professionali e le responsabilità individuali e di équipe su compiti, funzioni e obiettivi delle professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, tecniche della riabilitazione e della prevenzione, anche attraverso percorsi formativi complementari. Dall’attuazione del presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”.
In sostanza con tale norma Governo e il Parlamento decidono, incuranti del dibattito in corso di cui tra poco diremo, che gli atti di prevenzione , diagnosi cura e terapia non sono più di esclusiva competenza dei professionisti medici ma che essi tali restano solo se “complessi e specialistici”. Una vera assurdità per chiunque abbia dimestichezza con la medicina clinica. Tutti sanno infatti che anche le malattie più gravi possono manifestarsi al loro esordio con sintomi sfumati e di scarso rilievo e che l’abilità del buon medico è quella di tenere sempre presente a mente questo dato e di saper discernere caso per caso attraverso osservazione ed esperienza maturata. In altra parole in medicina il valore euristico di un segno o di un sintomo è sempre modesto e limitato e può acquistare il suo reale significato solo nell’ambito di un ragionamento più ampio. Un procedere di tipo deduttivo che presuppone una accurata conoscenza dei diversi “ens morbis” ovvero sia delle malattie intese come “forme codificate” simili alle idee platoniche e una solida esperienza clinica senza le quali è impossibile dare senso al ragionamento diagnostico-clinico. La medicina clinica è come la patologia medica la conoscenza approfondita dell’insieme della malattie umane, così come definite dalla medicina ufficiale, ma a differenza di quest’ultima essa comporta anche qualcos’altro, dovendosi rapportare allo specifico caso clinico che abbiamo davanti e le cui caratteristiche spesso non sono generalizzabili o riferibili alla serie. La diagnosi è dunque un complesso processo ermeneutico che implica il sapere teorico ma soprattutto una capacità di formulare ipotesi, adottando una razionalità di tipo “incrementale” , che può essere acquisita solo attraverso una lunga pratica clinica . In medicina dunque è solo a posteriori che un sintomo clinico può essere definito di minore importanza e un atto di bassa complessità e chi sostiene il contrario semplifica una materia di cui ignora le complesse implicazioni epistemologiche
C’è poi una ulteriore aspetto che rende più paradossale e insensato il modo di procedere dell’esecutivo
Tali problematiche erano già oggetto di discussione in sede di conferenza Stato regioni dove erano attivi specifici tavolo tecnici fin dal 15 dicembre 2011 da cui erano già scaturite diverse proposte di riassetto professionale (la prima sulle competenze infermieristiche risale al mese di aprile 2012) che avevano sollevato già aspre polemiche. Del tutto recentemente era stato predisposto un testo contenente un ipotesi di accordo sulle competenze infermieristiche, ancora in attesa di essere trasmessa alla Stato Regioni, che poteva rappresentare la base per una discussione seria interprofessionale, anche alla luce di quanto era stato stabilito in sede di cabina di regia ( organismo misto medici/ professioni sanitarie) istituita nel Novembre 2014.
In tale sede, una sorta di camera di conciliazione tra istanze conflittuali infatti si era stabilito di comune accordo quanto segue:
– il ruolo e le responsabilità diagnostiche e terapeutiche sono in capo ai medici anche per favorire l’evoluzione professionale a livello organizzativo e ordinamentale;
– gli infermieri e le altre professioni sanitarie, negli ambiti delle specialità già delineate dagli specifici profili professionali di riferimento, sono garanti del processo assistenziale, ed è per questo che è necessaria e non più rinviabile l’evoluzione professionale verso le competenze avanzate e di tipo specialistico;
– i medici, i veterinari, i dirigenti sanitari, gli infermieri e gli altri professionisti della salute riconoscono i relativi e specifici campi di intervento, autonomia e responsabilità anche alla luce della costante evoluzione scientifica e tecnologica, e concorrono a garantire unitarietà del processo di cura e assistenza attraverso la definizione multi professionale obiettivi, e attraverso criteri di verifica e valutazione degli esiti e dei risultati.
Il governo ha invece deciso di forzare la mano tagliando il dibattito e schierandosi apertamente contro i sindacati medici. La risposta delle associazioni mediche non ha tardato. Sia L’ANAAO che l’ Alleanza per la professione medica, un nuovo cartello a cui hanno aderito numerose sigle sindacali comprendenti medici pubblici e convenzionati (Aaroi Emac – Andi – Cimo – Cimop – Fesmed – Fimmg – Fimp – Sumai) hanno minacciato forme di lotta contro un provvedimento visto come una “fuga unilaterale in avanti” chiedendo “che si arrivi rapidamente alla definizione delle competenze delle singole professioni sanitarie, riaffermando concretamente il ruolo centrale del medico quale garante della salute dei cittadini”.
Nulla invece da parte dei sindacati confederali che su tali argomenti soffrono il peso maggiore che le professioni sanitarie hanno all’interno delle diverse funzioni pubbliche.
Eppure la battaglia non è di poco conto e ciascuno degli attori istituzionali cerca di massimizzare il proprio vantaggio. Le professioni sanitarie portando avanti una lotta di tipo esclusivamente corporativa e ritenendo, contro ogni logica, che l’avvenuta acquisizione del titolo di dottore sia di per sé sufficiente per affrontare il mare aperto della diagnosi clinica. I medici opponendosi ad una rovinosa perdita di status e ribadendo, con una litania ormai stanca, la centralità della loro funzione. Le regioni puntando ad ottenere una riduzione della spesa sanitaria non tagliando gli sprechi e le diseconomie tuttora presenti ma proponendo in maniera avventuristica la sostituzione dei medici da parte di professionisti sanitari a minor costo. Ed infine il Governo mascherando i suoi deludenti risultati rifacendosi una verginità con la lotta ai sindacati corporativi e conservatori.
Un orribile gioco delle parti in cui a rimetterci saranno solo i cittadini .
Roberto Polillo