Occhio alle Gazzelle. E’ il nome che i rapporti dell’Ocse, piuttosto che della Fondazione Kaufmann o di Eu Innova, danno alle aziende-baby, giovani se non neonate, le start-up, insomma, capaci di alti tassi di crescita: almeno il 20 per cento l’anno, in fatturato o in addetti, per tre anni di seguito. Perché qui sta il segreto della ripresa dell’occupazione e chi, a Bruxelles, sta pensando ad un rilancio degli investimenti, dovrebbe partire dalla consapevolezza che non tutte le aziende, anche quelle piccole e medie, offrono la stessa leva economica. Sono le aziende giovani, infatti, quelle che più contribuiscono ad aumentare i posti di lavoro, al netto dei licenziamenti. Benchè la maggioranza dei lavoratori stia nelle aziende già consolidate, il 50 per cento dei nuovi posti di lavoro vengono creati, infatti, dalle aziende più giovani. Le vecchie imprese assumono di più, ma licenziano anche di più. Dai numeri dell’Ocse, si ricava che, fatte le somme, i posti di lavoro creati dalle aziende-baby superano quelli distrutti dalle stesse imprese, nonostante il loro più alto tasso di mortalità. Per le imprese consolidate, vale il contrario. Non basta. Anche i flussi di assunzioni declinano con l’età. Negli Usa, prima della crisi, le imprese con un anno di vita, in media, creavano un milione di posti di lavoro l’anno. Quelle vecchie di dieci anni, solo 300 mila. L’idea che le imprese infoltiscano gli addetti, man mano che aumenta la loro età, insomma, non trova riscontro nei dati.
Invece, il motivo più immediato del crollo dell’occupazione, nella crisi attuale, è il ristagno nella formazione di nuove imprese. In quasi tutta Europa, il tasso di nascita delle imprese ha subito una netta battuta d’arresto fra il 2009 e il 2010. Fra il triennio 2007-2009 e quello 2010-2012, voglia di impresa si è vista solo in Svezia e in Francia. Nonostante i giudizi pessimistici che si danno sull’economia transalpina, la Francia ha visto aumentare dello 0,5 per cento la nascita di nuove imprese. In Spagna è, invece, diminuito nella stessa misura, mentre in Germania è rimasto più o meno uguale. E l’Italia? E’ fra i paesi europei dove la crisi ha inciso di più: il tasso di nascita di nuove imprese, fra prima e durante la crisi, è sceso dello 0,67 per cento.
D’altra parte, per le aziende neonate, l’ambiente è diventato sempre più ostile. Ce lo dice il tasso di sopravvivenza. In Germania, in Francia e, in generale, nel Nord Europa, circa una start-up su due, dopo cinque anni, è ancora in piedi. La crisi non sembra aver inciso sulla capacità di sopravvivenza. Nel Sud – Italia, Spagna, Portogallo – è tutta un’altra storia. Nel 2009, il 45 per cento delle imprese nate nel 2004 era ancora in attività, in questi paesi. Ma hanno cominciato ad affondare sempre di più. Nel 2012, le aziende con cinque anni di vita ancora in piedi erano solo il 38 per cento.
Neanche tutte le aziende-baby, peraltro, avvertono i rapporti, sono uguali. Il contributo più importante, in termini di occupazione, viene dalle aziende ad alta crescita. Quali sono? Dove corrono le Gazzelle? Là dove “knowledge” – conoscenza, specializzazione, capacità di leggere ed utilizzare l’innovazione tecnologica – è l’elemento chiave del successo. La densità più alta di Gazzelle, ovvero di aziende con tassi rapidi di espansione, dice uno studio di Bruegel, un think-tank di Bruxelles, è nei servizi di mercato high-tech: consulenze di management, pianificazione, ingegneria. Siamo al 16 per cento di Gazzelle sul totale di aziende neonate. Subito a ridosso (15 per cento) ci sono le imprese che si occupano di telecomunicazioni e di software. Corposa la loro presenza anche nella manifattura high-tech, farmaceutica ed elettronica.
Il piano da 300 miliardi di euro di cui parla il presidente della Commissione, Juncker, insistono i ricercatori di Bruegel, deve partire da qui. Non un generico incentivo a pioggia alle piccole e medie imprese, ma uno specifico intervento a favorire la nascita e la crescita di Gazzelle. In fondo, il grosso dei fondi che si trovano in cassa, quelle stesse aziende lo reinvestono in R&D, ricerca e sviluppo, il circolo virtuoso di cui l’Europa ha bisogno.
Maurizio Ricci