8000 km percorsi, 60 tappe in 70 giorni. Questi i dati del “tour della legalità”, conclusosi ieri a Roma, e promosso dalla Cgil all’interno della campagna nazionale “Legalità, una svolta per tutte”. Il Diario del Lavoro ha intervistato la coordinatrice dell’iniziativa, il segretario confederale Gianna Fracassi, per un bilancio a caldo sull’esito del tour.
Fracassi, come giudica la risposta del territorio e la partecipazione dei cittadini alla vostra campagna itinerante?
La risposta da parte delle istituzioni locali è stata forte, così come la partecipazione da parte delle più diverse tipologie di lavoratori, dai giovani ai pensionati. Non c’è dubbio che il tema della legalità e della lotta alle mafie sia un tema di grande interesse per il paese, e non certo solo per via delle recenti notizie di cronaca. Il nostro bilancio non può dunque che essere molto positivo, anche perché ci ha dato la possibilità, come sindacato, di arrivare in luoghi di lavoro in cui nessuno arriva mai.
Rispetto alle testimonianze raccolte, avete riscontrato delle differenze a seconda della zona geografica di provenienza, ad esempio tra quelle del Nord e del Sud del paese?
Differenze ce ne sono, certo. Ma ciò che abbiamo riscontrato è che se l’illegalità è un fenomeno diffuso in tutta Italia, lo sono anche le buone pratiche, soprattutto quelle provenienti dal campo sindacale, che dimostrano come il costo maggiore dell’illegalità si scarichi soprattutto sui luoghi di lavoro; e come, al tempo stesso, il sindacato possa fare tanto.
Mi può citare un esempio di “buona pratica” cui ha contributo l’azione sindacale?
Certo, ed è un esempio che viene proprio da una città del Nord. Nel gennaio 2011 la Cgil denunciava, alla Procura di Pesaro, una vicenda di estorsione e caporalato ai danni di alcuni lavoratori dei cantieri per la costruzione della terza corsia dell’A14. Il processo, nel quale il sindacato si è poi costituito parte civile, è stato vinto dai lavoratori.
Alla luce degli ultimi fatti di cronaca che hanno visto per protagonista la capitale, in che clima si è svolta la tappa di ieri, quella conclusiva, prevista proprio a Roma?
Le vicende di Mafia Capitale hanno delineato un quadro gravissimo di infiltrazioni trasversali generate da quella che il procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, definisce mafia “originaria”. Infiltrazioni che non sono riconducibili alla mafia classicamente intesa, ma che sono egualmente pericolose e i cui effetti ricadono, in maniera devastante, sui posti di lavoro e sulla capacità delle imprese sane di restare sul mercato. Il senso della tappa di ieri a Roma, quindi, aveva proprio lo scopo di legare le vicende locali alle risposte che il sindacato può e mette in campo: dai patti con le amministrazioni, all’impegno a farsi sentinelle di legalità nei luoghi di lavoro. Anche se poi, ovviamente, la responsabilità rimane anche e soprattutto delle istituzioni.
Quali sono le prossime iniziative che avete intenzione di mettere in campo, anche a partire dall’esperienza di viaggio appena terminata?
Il nostro impegno nella lotta all’illegalità, che non è certo un impegno solo degli ultimi mesi, prevede l’utilizzo di tutti gli strumenti a disposizione del sindacato, a partire da quello della contrattazione territoriale, per fare pressione sulle istituzioni. Quest’impegno ha portato, ad esempio, alla creazione dei un’iniziativa spin off rispetto al tour appena conclusosi, che utilizzando la stessa metodologia, cioè un camper che andrà in giro per il territorio, porterà avanti la campagna di raccolta firme a favore di una legge di iniziativa popolare sulla gestione degli appalti.
A proposito di leggi di iniziativa popolare, a che punto è quella sulla salvaguardia delle aziende confiscate alla mafia, presentata, sempre su vostra iniziativa, a settembre scorso?
La commissione Giustizia ha fissato, come data ultima per la presentazione degli emendamenti al testo di legge, il 27 febbraio. Si riparte, quindi, e crediamo che ci siano le condizioni per proseguire nell’iter. Ma vogliamo far presente al governo che non si può più aspettare, considerato che, man mano che passano i giorni, aumenta il rischio che quelle imprese confiscate alla mafia falliscano, rendendo così sempre più forte un messaggio terribile, ossia che quando se le imprese passano in mano allo stato, allora si perde il posto di lavoro. Il tema è tanto più delicato se si tiene conto del fatto che la maggior parte delle aziende in questione si trovano nel Sud del paese, dove il problema dell’occupazione è innegabilmente più forte che al Nord. Chiediamo quindi al governo di trovare il modo di accelerare e manifestare, così, la sua determinazione nella lotta all’illegalità.
Fabiana Palombo