Sarà difficile la prossima stagione contrattuale. Perché mancano le regole secondo le quali portare avanti le trattative, perché l’inflazione zero impedisce generosità salariale, perché i vecchi contratti erano stati troppo generosi, per cui adesso ci sarebbe da restituire alle aziende una cifra anche molto consistente. Ma la contrattazione resta un valore, capace di portare valore aggiunto alle imprese e per questo nessuno ci vuole rinunciare. Per questo sarà necessario fare molta attenzione nei prossimi mesi, guardando al consenso, dialogando, cercando, se possibile, di guardare lontano senza dimenticare le esigenze delle imprese, l’ambiente nel quale operano.
Sono questi gli assunti di fondo emersi nei giorni scorsi quando è stato presentato a Roma il volume “Cambiare verso” firmato da Massimo Mascini, edito da Edizioni Il diario del lavoro per il congresso della Uiltec dello scorso autunno. Una forte volontà delle parti sociali di risolvere i problemi, di salvare la realtà del contratto nazionale, di non mettere la testa sotto la sabbia sperando in un domani migliore, come forse qualcuno sarebbe tentato di fare.
Il nodo del salario, si sa, è emerso all’inizio di quest’anno quando Federchimica, l’associazione degli industriali chimici, ha fatto presente che a norma del contratto, considerando l’aumento salariale concesso con l’ultimo contratto e l’inflazione bassa che c’è stata, i lavoratori dovrebbero restituire alle imprese una somma notevole. “Avevamo calcolato 80 euro a gennaio, ha spiegato Andrea Piscitelli, responsabile dei temi del lavoro di Federchimica, adesso sono saliti a 95 euro. Considerando che secondo le proiezioni macroeconomiche i contratti prossimi dovrebbero concedere aumenti per recuperare l’inflazione attesa pari a 98 euro, ci sarebbero da distribuire aumenti salariali di 3 euro per tre anni”. Una situazione difficile, che gli industriali chimici sono i primi a voler evitare. “Non vogliamo mettere in difficoltà il sindacato e non vogliamo metterci quei soldi in tasca, ha assicurato Piscitelli, ma gli impegni vanno onorati, altrimenti il contratto non sarebbe più credibile e noi vogliamo salvaguardare l’importanza del contratto nazionale. Questa è la prima volta nei 38 anni che faccio questo mestiere, ha aggiunto, che vedo in pericolo un obbligo assunto con il contratto”. Paolo Pirani, segretario generale della Uiltec, ha rassicurato gli industriali. “ Gli impegni, ha detto, saranno rispettati, il problema di questo delta tra gli aumenti salariali concessi e la crescita inflattiva sarà risolto nella prossima tornata contrattuale, mettendo in atto una vera politica salariale, che finora è stata impedita dalle regole, troppo strette”.
Il problema in effetti nasce proprio nasce dalle norme che regolano la contrattazione, che o sono scadute, come quelle del 2009, o non sono più capaci di risolvere i problemi. Lo ha spiegato con acutezza Carlo Dell’Aringa ricorrendo a un paradosso. “Se ci fosse ancora la scala mobile, ha detto, questi problemi non ci sarebbero, dato che questa interveniva a posteriori. Le sostituzioni che sono state inventate, ricorrendo all’inflazione programmata o a quella prevista, non hanno funzionato. Abbiamo avuto in questi anni poca inflazione, è vero, quel 2 o 3% che a chi era abituato a tassi pari al 15 o al 20% non facevano certo paura. Ma questi tassi, anche se bassi, negli anni si sono sommati e in una situazione in cui non si poteva più giocare sul cambio della moneta nazionale, perché questa non c’era più, sono diventati un macigno. E adesso ci troviamo con un debito forte e in piena deflazione”.
Alle parti sociali resta quindi la contrattazione, che deve essere esaltata invece che affossata. Pirani è stato chiaro. “Il nodo del salario sarà risolto in qualche modo. Ma la contrattazione, ha aggiunto, non è solo salario, ci sono molti altri temi, il welfare, la sanità, la formazione, la staffetta generazionale, e ancora l’impatto dei cambiamenti tecnologici, l’organizzazione del lavoro, gli orari. Temi che devono essere affrontati con la contrattazione, nazionale o aziendale che sia, meglio con il nazionale considerando che le piccole e piccolissime imprese si aspettano di avere delle regole certe e la contrattazione di secondo livello si sta riducendo, specie in alcuni settori come il metalmeccanico e il tessile”.
E’ questo il nodo che va affrontato e che un nuovo accordo interconfederale potrebbe risolvere, i confini della contrattazione. Le aziende non si tirano indietro. Davide Calabrò, di Eni, e Bernardo Quaranta, di Enel, lo hanno confermato intervenendo nel dibattito. Calabrò si è raccomandato che si guardi a questi temi non dimenticando l’importanza del business, perché è questo che alle imprese interessa e ogni soluzione ipotizzata deve badare a far crescere la competitività delle imprese, altrimenti queste sentirebbero la contrattazione come un peso e alla fine potrebbero avere anche la tentazione di scrollarsi questo peso dalle spalle rinunciando a trattare. Sarebbe un errore, lo ha detto lui stesso, perché la contrattazione è un fattore positivo di produttività, ma bisogna essere sicuri che si guardi al problema dalla giusta prospettiva. Il confronto sui parametri macroeconomici, ha detto, sono validi, ma è il business che deve essere sempre al centro dell’attenzione. Comunque, ha aggiunto, qualsiasi soluzione deve prevedere dei tempi più brevi di applicazione degli accordi, proprio per evitare che si crei un delta come è accaduto con questa tornata di contratti.
Insomma, si tratterebbe di rinunciare agli automatismi, ma davvero. E questo è possibile solo se c’è sempre un dialogo fitto tra le parti sociali. Quaranta ne è convinto e ha insistito proprio su questo concetto. Enel, ha detto, lo ha sempre fatto, perché crede fortemente sul valore del confronto, ma non tutte le aziende sono uguali e può accadere che al contrario, qualcuno finisca per rinunciare alla contrattazione. E per evitare che ciò accada c’è un sistema imbattibile, quello di dimostrare con i fatti che la contrattazione rappresenta un valore aggiunto per l’impresa. L’esempio è quello che Enel ha fatto per realizzare una sorta di staffetta generazionale, prevedendo che chi sta per andare in pensione riduca il suo impegno di lavoro e assuma un ruolo più da tutor e i nuovi che entrano in azienda con questi tutor crescano e diventino efficienti. Un frutto buono della contrattazione.
Massimo Mascini