In questi giorni sono stati festeggiati, per così dire, due compleanni. Il 45° anniversario del varo dello Statuto dei diritti dei lavoratori, avvenuto nel 1970, e il 70° anniversario della nascita dell’Inca, ovvero dell’Istituto nazionale confederale di assistenza. Il più antico dei patronati italiani fu infatti fondato nel 1945. All’origine sia dello Statuto che del patronato stanno le idee e l’azione di un grande sindacalista, Giuseppe Di Vittorio.
A Morena Piccinini, che dell’Inca-Cgil è Presidente dal 2010, chiediamo: qual è l’eredità da lui lasciata al vostro Istituto?
“Credo che la modernità di Di Vittorio – risponde Piccinini – sia sotto gli occhi di tutti. La sua idea di sindacato come quella dei diritti dei cittadini lavoratori sono attualissime. Quando nel gennaio del 1945, al primo Congresso della Cgil unitaria, si cominciò a parlare della costituzione dell’Inca, si aprì un dibattito attorno a due quesiti. Primo: il patronato doveva rivolgere la sua azione di tutela individuale a tutti i cittadini, o solo agli iscritti? Secondo: le prestazioni del patronato dovevano essere a pagamento o gratuite? Decisiva fu, su entrambi gli aspetti, la risposta di Di Vittorio: il patronato doveva offrire servizi gratuiti e rivolti a tutti i cittadini.”
“Questo è il modello che è stato poi assunto anche dagli altri patronati che sono nati negli anni successivi e che è stato anche riconosciuto dalla legge. Un modello, peraltro, originale del nostro Paese e, secondo noi, tutt’ora validissimo. E’ a difesa di questo modello che ci siamo battuti quando, in sede di impostazione della legge di stabilità, sono stati proposti tagli pesantissimi ai rimborsi ministeriali che ci vengono riconosciuti proprio in funzione del valore sociale della nostra attività.”
In cosa consiste questa attività?
“L’Inca-Cgil è attiva su tutto il territorio nazionale nonché all’estero, nei paesi di approdo dell’emigrazione italiana, dal Belgio all’Australia. L’Inca può contare su circa 4.500 fra operatori e volontari, cui si aggiungono più di 500 professionisti convenzionati (270 medici e 300 avvocati). La nostra attività tradizionale è quella di offrire assistenza individuale ai lavoratori che si rivolgono al patronato per risolvere problemi previdenziali, per ricevere tutela in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali o, più in generale, per ottenere dagli Enti preposti prestazioni di carattere socio-assistenziale. Da qualche anno a questa parte, è poi molto cresciuta anche l’attività di tutela rispetto ai problemi specifici dei lavoratori immigrati.”
La giornalista Bianca Di Giovanni, nel suo recentissimo libro Fermo immagine sul Patronato, pubblicato da Edit Coop, ha riportato dei dati abbastanza impressionanti sull’aumento di un altro tipo di prestazioni, quelle di sostegno al reddito, che si è verificato dall’inizio del decennio. In particolare, tra il 2010 e il 2013, a crisi ormai conclamata, queste prestazioni – non relative alle richieste di pensione, né alla tutela della salute – in Lombardia sono quasi quadruplicate, passando da 23.333 a 90.417. Lo stesso si può dire del Lazio, dove sono passate da 11.489 a 41.727, mentre in Piemonte sono quasi triplicate, crescendo da 11.819 a 32.963.
Leggendo questi dati, e quelli relativi ad altre regioni, mi è venuto in mente ciò che ha detto recentemente il Segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, e cioè che se qualcuno vuole capire qualcosa degli effetti sociali della crisi economica esplosa nel 2008, può andare a dare un’occhiata a ciò che succede nelle sedi dell’Inca.
“Questo è vero. Basta andare in un qualsiasi giorno davanti a una qualsiasi delle nostre sedi per vedere non solo le file dei lavoratori che cercano tutela per le loro situazioni individuali, ma soprattutto per capire che la situazione sociale del nostro Paese è significativamente peggiorata. I nostri sportelli sono stati i primi sensori degli effetti della crisi e, e devo dire, dell’aggravamento di questi stessi effetti. Nei primi anni della crisi è via, via cresciuto il numero dei lavoratori che cercava di accedere ai vari ammortizzatori sociali in seguito a crisi aziendali. Oggi c’è chi sottolinea positivamente, sul piano nazionale, una diminuzione delle ore richieste di Cassa integrazione. Ma questa decrescita non dipende solo da primi segni di ripresa. Dipende anche dal fatto che in tante storie aziendali gli ammortizzatori sociali sono stati consumati, dalla Cassa integrazione, alla Cassa in deroga, alla mobilità. E siamo così arrivati al punto in cui lavoratori che hanno perso l’occupazione e non sono più protetti da alcun ammortizzatore sociale, ma sono troppo giovani per andare in pensione, chiedono il nostro aiuto per ottenere una tutela individuale, ovvero per presentare domande di assistenza ai Comuni. Stiamo cioè cercando di attivare quegli strumenti assistenziali che sono frutto della contrattazione territoriale.”
Il perdurare della crisi ha dunque almeno parzialmente mutato il vostro campo di attività?
“Certo, ma non solo il nostro, anche quello delle strutture pubbliche che hanno più direttamente a che fare col territorio. Problemi nuovi vanno affrontati con soluzioni nuove, anche se eventualmente emergenziali. Per fare solo un esempio della gravità delle conseguenze sociali della crisi, cito il caso della Regione Piemonte, una di quelle in cui la struttura industriale è stata più duramente colpita. Il Presidente della Regione, Chiamparino, ha avanzato l’ipotesi che le banche possano concedere ai lavoratori disoccupati in età più avanzata degli anticipi sulle loro future pensioni. Ciò per aiutarli ad andare avanti nei mesi o negli anni che li separano dal raggiungimento dell’età pensionabile.”
“Tornando all’Inca, posso dire che, come Patronato, abbiamo avuto una percezione in tempo reale delle varie fasi della crisi e dei suoi risvolti sociali, anche drammatici. Da questo punto di vista, sono grata a Susanna Camusso per aver parlato anche della ricaduta stressante sul piano emotivo che si è scaricata sui nostri operatori che si trovano ormai quotidianamente ad avere a che fare con tanti singoli drammi vissuti dai lavoratori e dalle loro famiglie. Drammi non raccontati a sufficienza dai mezzi di informazione, ma assai ben conosciuti dai nostri operatori.”
Questa è dunque la realtà di oggi, la realtà vissuta dall’Inca nella crisi. Ma una volta che, come tutti speriamo, vi fosse una ripresa economica, come vedi il futuro del Patronato?
“Per prima cosa voglio dire che come Patronato e come cittadini ci auguriamo che la Pubblica amministrazione diventi più efficiente. In particolare, penso che la diffusione degli strumenti informatici e telematici potrebbe aiutare la Pubblica amministrazione a semplificare e, nello stesso tempo, a rendere più diretti i rapporti con i cittadini. Se ciò si verificasse, noi potremmo superare il ruolo di paracadute utilizzato per sopperire ai disservizi degli enti pubblici e potremmo assumere un ruolo di consulente globale del cittadino lavoratore rispetto agli aspetti previdenziali della sua vita lavorativa e a quelli connessi alla tutela della sua salute. Potremmo cioè tornare alle nostre funzioni tradizionali riviste in una chiave più attuale, assumendo un ruolo di segretariato sociale volto a indirizzare il cittadino su come utilizzare al meglio le possibilità offerte dal Welfare, anche su base locale. In questo senso, penso che il nostro dovrà e, spero, potrà essere un ruolo non sostitutivo, ma complementare rispetto a quello proprio della Pubblica amministrazione.”
“In un’epoca di globalizzazione, diventa poi ancor più rilevante il lavoro che abbiamo sempre svolto all’estero, fra i nostri emigranti. Certo, l’emigrazione italiana è molto cambiata con il passare degli anni, ma credo che questa nostra proiezione in quattro continenti sia un valore per tutta la Cgil.”
@Fernando_Liuzzi