Se è vero che il Jobs Act è un importante spartiacque nel diritto del lavoro perché segna il superamento della tutela reintegratoria dello Statuto del 1970, è altrettanto vero che ha un raggio di azione limitato nel tempo.
Perché, da qui a meno di 20 anni, il nostro diritto del lavoro avrà mutato del tutto pelle. E quindi saranno mutate le categorie con cui oggi lo conosciamo.
Per prima, quella della subordinazione, a cui il Jobs Act fa riferimento, come immaginano il report “The Future of Work: Jobs and Skills” in 2030 del governo inglese e, per alcuni versi, il rapporto OECD360 Italia 2015.
Ad esempio, grazie alla tecnologia e alla robotizzazione, perderà senso il luogo di lavoro perche sarà sostituito da spazi virtuali di lavoro, l’orario di lavoro perché ciascun lavoratore gestirà il proprio, il potere direttivo del datore di lavoro perché ciascun lavoratore dirigerà sé stesso in una logica del risultato e cosi via dicendo.
Per dirlo in altre parole, siamo alla porte del postumanesimo. O ci siamo già dentro se ha ragione Neil Badimgton, che vede i primordi nel 1982 quando il Time portò in copertina il computer come “Man of year” perché “giovane, affidabile, silenzioso, pulito e intelligente”.
Del resto, la cinese Shenzen Ewerwin Precision Technology Company ha già creato uno stabilimento costituito per il 90% da robot; le catene di montaggio già raggiungono straordinari livelli di produttività grazie al sistema WCM, nato dal toyotismo ; l’enhancement, sperimentato negli USA, è già capace di convertire le funzioni lavorative dell’uomo in quelle di una macchina.
Se cosi stanno le cose, bisogna allora farsi due domande.
La prima è: quale sarà il lavoro del futuro?
Facendo due conti, scompariranno i posti di lavoro meno qualificati, non solo quelli in fabbrica ma – se non saranno messi al riparo – anche quelli delle botteghe che hanno fatto la storia del Paese, perché le macchine prenderanno il sopravvento; nasceranno posti di lavoro legati alla tecnologia; grazie alla tecnologia diminuirà l’orario di lavoro, aumenterà il tempo libero e quindi il numero dei lavori che si occupano di riempirlo.
La seconda e più importante domanda è: come preparare il Paese a questa rivoluzione?
Probabilmente, con una soluzione di continuità rispetto a quella tendenza dell’ultimo ventennio a “riformare le riforme” per rendere la subordinazione, che si aggirerà come un fantasma, più o meno conveniente, più o meno buona, più o meno giusta.
Insomma, lo si voglia o no, le fortune del Jobs Act non saranno quello dello Statuto del 1970 che, ad esempio, in piena era facebook, resiste ancora con una norma che vieta al datore di lavoro il controllo a distanza dell’attività dei dipendenti!
Ciro Cafiero