Pietro Larizza è stato segretario generale della Uil e presidente del Cnel. Sa che le divisioni del sindacato non pagano e che l’unità va fatta sulle cose da fare, su un elenco di priorità.
Larizza è necessaria oggi l’unità sindacale?
E’ assolutamente necessaria, purché non sia, come pure è stata, un obiettivo. L’unità sindacale deve essere solo un mezzo per realizzare degli obiettivi concordati.
Unità sui contenuti?
Sì, sulle cose da fare. Perché senza accordo su questo punto è solo una perdita di tempo. Se invece si è d’accordo su alcune priorità, è oggi tra queste ci sono certamente il lavoro e il salario, allora l’unità è la condizione per realizzare questi obiettivi.
Senza unità che può accadere al sindacato?
Il sindacato già subisce le conseguenze di una crisi che ha devastato le imprese e l’occupazione. Sono stati persi un milione di posti di lavoro e hanno chiuso decine di migliaia di aziende. In più il governo, tradizionale interlocutore del sindacato, non è disponibile al dialogo, non considera il sindacato un interlocutore.
Una situazione difficile.
Molto difficile, tanto che vedere il sindacato diviso fa più tristezza che rabbia, perché così rischia di divenire un ente non dico inutile, ma certo inoffensivo.
Tu hai vissuto altre stagioni unitarie.
Sì, ma ho vissuto anche la stagione delle divisioni, quella degli anni ottanta sul taglio della scala mobile, per esempio, quando il sindacato si divise in due tronconi. Eppure anche allora dietro la rottura formale c’era sempre un filo di dialogo. Tanto è vero che, nonostante quella rottura fosse davvero molto profonda, dopo qualche anno riuscimmo a ritrovare l’unità abolendo la scala mobile, una decisone sofferta e dolorosa, ma imposta dalla crisi del paese.
L’altra profonda crisi dell’unità tra i sindacati venne all’inizio degli anni 2000.
Fu una crisi profondissima anche quella, motivata da due ragioni di fondo, politiche e ideologiche. Da una parte il governo Berlusconi, nel quale la componente più ideologica, guidata da Maurizio Sacconi, aveva abbandonato il dialogo concertativo per dividere il sindacato. Dall’altra la Cgil impegnata in una battaglia tutta interna alla sinistra politica. Il governo voleva dividere il sindacato e vagheggiava l’unità tra Cisl e Uil, una cosa impossibile, dall’altra la Cgil andava per conto suo, arrivò a proclamare lo sciopero generale senza nemmeno dare una comunicazione alle altre confederazioni.
Questo indeboliva il sindacato?
Non poteva essere altrimenti. Non a caso poco dopo il governo Berlusconi varò la riforma delle pensioni peggiore, quella di Roberto Maroni con lo scalone. Una riforma che altrimenti, con un sindacato unito, avrebbe trovato ostacoli durissimi e che invece passò nel paese.
E questo sta accadendo anche adesso. Ma tu pensi che il sindacato sia in grado di recuperare l’unità?
Io parto da ciò che è assolutamente necessario. Il mondo del lavoro ha di fronte a sé alcuni grandi problemi, la produzione, il salario, l’occupazione, la disoccupazione giovanile, il lavoro nel Mezzogiorno. Questioni importanti, difficili da trattare. Problemi che non è possibile affrontare attendendo le decisioni del governo e delle associazioni padronali. Il sindacato deve essere un soggetto attivo, proponente, non può giocare di rimessa sulle proposte altrui. Così si condanna da solo.
Un compito difficile.
Sì, perché il contesto non è favorevole. Ma è l’unico compito che ha. Il sindacato è spesso accusato di essere conservatore, ma questo accade perché si muove difendendo quello che ha. Una strategia sbagliata, non paga restare sempre sulla difensiva. Si devono elaborare delle proposte e portarle avanti con forza e determinazione.
Non ci sono alternative?
Se la mission del sindacato è quella di difendere gli interessi dei lavoratori, non esistono alternative all’unità. Una rottura è una specie di delitto. Parlo di unità d’azione, sulle cose concordate, perché altra cosa è l’unità organica, cosa non attuale. Ora l’impegno deve essere tutto sulle cose da fare.
Massimo Mascini