L’intera cultura del mondo occidentale -dalla medicina alla filosofia, dalla matematica alla fisica, passando per il complesso della produzione artistica ( le arti poietiche secondo Aristotele) – non sarebbe esistita se nel cosiddetto periodo assiale del V° secolo a.c. la Grecia non ne avesse posto le base epistemiche.
Tutto quello che siamo, tutto quello che sappiamo, tutto quello che abbiamo costruito in termini di conoscenza e sapere origina dal poderoso pensiero greco e di questo gli occidentali, indipendentemente dalla loro nazionalità, devono essere consapevoli. E forse dovrebbero mostrare più riconoscenza verso coloro che hanno reso possibile tutto questo.
Come sempre accade, i cicli lunghi della storia seppelliscono nella polvere dell’oblio anche quei popoli che per secoli hanno imposto la loro egemonia culturale, politica e miliare dall’antica Persia all’impero romano; e tanti in questi giorni hanno espresso la loro convinzione che il declino della Grecia potrebbe trasformarsi nel declino dell’intero vecchio continente, se l’idea di Europa dovesse diventare più fragile di quella che già è.
Sono i popoli della Cina e dell’India a premere sul mondo globalizzato per imporre la loro presenza, disponendo in abbondanza di risorse umane, tecnico-scientifiche ed economiche. L’Europa dovrà affrontare queste sfide e per fare questo dovrà mostrarsi un continente fondato su una idea di comunità e di cittadinanza, senza la quale la produzione e lo scambio delle merci non ha alcuna possibilità di vincere la dura battaglia della concorrenza.
Il popolo greco, o meglio i governanti succedutisi alla guida del paese, hanno perso, al pari dell’Italia, i vantaggi immediati che la moneta unica ha offerto loro in termini di differenziale sui tassi di interesse. E così, invece di realizzare le riforme necessarie per modernizzare il paese, hanno accumulato montagne di debiti, pur sapendo che non avrebbero mai potuto onorare gli impegni presi con i creditori. E le stesse banche hanno prestato loro montagne di soldi, pur sapendo che i Greci quei soldi non avrebbero mai potuto restituire.
Questo è stato il gioco perverso da cui oggi si fatica ad uscire. Le ricette suggerite dalla troika in questi ultimi anni hanno sortito l’effetto opposto: invece di dare energia al paese lo hanno sprofondato nel pozzo senza fondo della recessione.
I soldi dati in prestito, come dice Massimo D’Alema, e come ha dichiarato lo stesso Alexis Tsipras nel suo intervento al parlamento europeo di Strasburgo, non hanno alleviato le sofferenze di un popolo che per riscaldarsi è costretto segare gli alberi e a bruciare il poco mobilio rimasto, ma è stato utilizzato per ripagare le banche francesi e tedesche, mettendo in sicurezza i loro bilanci a spese di Atene.
La Grecia deve voltare pagina, ma questo è possibile solo con una nuova politica industriale che passa attraverso importanti investimenti europei e la ristrutturazione del debito: un debito di tali proporzioni da soffocare qualsiasi possibilità di rilanciare l’economia del paese. Senza aumento della produttività è una pia illusione la possibilità di creare posti di lavoro e fare ripartire i consumi E’ ovvio che la Grecia deve uscire dall’ inazione dei precedenti governi e che si deve impegnare in una politica riformista che affronti i veri nodi del paese, in primis l’evasione fiscale e l’eccesso di assistenzialismo dello stato.
Questo è stato il messaggio senza furberie di Tsipras al Parlamento europeo e questa posizione è condivisa da tutti coloro che credono ancora nell’Europa. L’auspicio è che anche le istituzione europee e i governanti del paesi ricchi del nord si riconoscano in tale idea e non buttino all’aria il lavoro che i padri fondatori fecero molti anni orsono a Ventotene.
Roberto Polillo