Dario Di Vico, che di sindacato ne capisce molto, pone sul Corriere della sera un interrogativo un po’ sinistro, che peraltro sempre più corre nei discorsi di chi segue il mondo del lavoro. Il sindacato, si chiede Di Vico, sta morendo? Sopravviverà alla tempesta che lo sta travolgendo? La domanda, proprio perché ricorre con sempre maggiore frequenza, è più che legittima, doverosa per chi segue questo settore. E la risposta non è chiara, nessuno sa darla con la nettezza che invece farebbe tanto bene. E proprio per questo vale la pena di analizzare le affermazioni contenute nell’analisi di Di Vico, anche perché molte di queste non convincono.
La prima è che il welfare aziendale stia spazzando via il sindacato dalle trattative. Ha cominciato Del Vecchio alla Luxottica, da allora il fiumiciattolo è diventato un grande fiume che il sindacato guarda con sospetto. Di qui le nuove relazioni industriali che non avranno più il sindacato come protagonista. Ora è un dato di fatto che le relazioni industriali stiano cambiando, e che le imprese, quelle che si pongono questi problemi, quindi le grandi, abbiano sempre più attenzione alle relazioni dirette tra azienda e lavoratori. Ma da qui a pensare che ciò si tradurrà nella scomparsa del sindacato ce ne corre. Innanzitutto perché se il welfare aziendale sta prendendo sempre più piede, ciò non avviene a dispetto del sindacato, che anzi ha una grande attenzione al welfare integrativo.
Tutte le piattaforme rivendicative del sindacato, nelle categorie e nelle aziende, prevedono un corposo capitolo dedicato al welfare aziendale. Perché non ci si pagano sopra tasse e contributi, quindi sono elargizioni più sostanziose, e perché vanno incontro a bisogni immediati dei lavoratori. Ci potrà essere maggiore attenzione da parte della Cisl e della Uil di quanto non avvenga in Cgil, che ha sempre guardato a queste cose con un occhio carico di dubbi, ma il sentimento è abbastanza generalizzato per far affermare che non sarà il welfare aziendale a far morire il sindacato e le relazioni sindacali.
E poi c’è da valutare fino in fondo le conseguenze di una scomparsa del sindacato che abbiamo conosciuto noi. Se il sindacato di questi decenni, il sindacato confederale, muore o viene meno, questo va contro gli interessi dei lavoratori e anche contro quelli delle imprese, questo è un dato di fatto. Perché se scompare il sindacato confederale non è che non viene sostituito: al contrario, prenderanno sempre più piede i sindacati delle categorie, sempre più piccole, e soprattutto i sindacati aziendali. Sarà un vantaggio? No, per nessuno, perché la capacità del sindacato confederale è stata sempre quella di saper guardare all’interesse generale dei lavoratori, di tutti i lavoratori e non di una piccola parte di essi. Ma un sindacato di azienda sarà per forza di cose corporativo, attento agli interessi del piccolo gruppo di lavoratori che rappresenta, poco o nulla attento alle conseguenze per il resto del paese. Un danno per i lavoratori e per le aziende. Sarebbe il ritorno alla legge del più forte e non sarebbe certo una cosa positiva.
Di Vico dice ancora che è diventata troppo grande la distanza tra il sindacato e le giovani generazioni. Una verità, ma occorre capire come si è determinata. E’ un dato di fatto che pochi giovani sono entrati nel mondo del lavoro negli ultimi anni e molti di questi con un contratto precario che rendeva almeno potenzialmente pericoloso mostrare un attaccamento ai sindacati. In questa situazione fare proselitismo è sempre più difficile. Del resto, resiste lo zoccolo duro degli affezionati, quelli che non stracceranno mai la tessera sindacale: stanno andando in pensione, è vero, ma al sindacato continuano ad aderire milioni di lavoratori. Parlare di morte sembra prematuro.
Il che non toglie che i problemi che fanno pensare che il sindacato sia in pericolo di vita, o di buona salute, siano reali. Però sono altri. Pesa soprattutto la carenza di strategie, sembra si sia persa la capacità di guardare lontano, che era e deve essere la qualità prima del sindacato. I piani delle confederazioni si fanno evanescenti, di difficile attuazione, di scarso appeal. E pesa altresì la capacità di affrontare e risolvere i problemi nuovi che si presentano al sindacato. Sarà l’età media dei sindacalisti un po’ troppo alta, ma l’agilità di pensiero che invece dovrebbe esserne la prima caratteristica, stenta nelle file sindacali. Il mondo va a cento all’ora, il mondo del lavoro subisce continue trasformazioni, il sindacato arranca e non sempre ce la fa a capire cose sta accadendo e, quindi, a mettere in campo le controstrategie necessarie. Questa è colpa grave, da questa si deve guardare il sindacato se non vuole pagare un prezzo troppo alto. Che non sarebbe morte, ma appannamento sì, e purtroppo anche molto veloce.
Massimo Mascini