I chimici come al solito sono arrivati primi. Stavolta poi hanno voluto superare se stessi. Se tre anni fa avevano firmato l’accordo che rinnovava il contratto nazionale alla seconda sessione di incontri, questa volta l’hanno fatto dopo appena una mezza giornata (e una notte) di trattative. Il motivo è evidente. Tutto era già pronto da tempo, serviva il via libera da Confindustria che voleva prima far arrivare a tutti il proprio pentalogo di indicazioni. Si dovevano risolvere alcuni particolari tecnici, ma il grosso del lavoro era stato già fatto. E infatti l’intesa è arrivata puntuale.
Una firma che rilancia la stagione contrattuale, che adesso può correre via di corsa verso nuovi rinnovi. Gli alimentaristi sono in pole position, ma anche le altre categorie industriali alle prese con il rinnovo del contratto nazionale possono contare su questo precedente certamente interessante. E rilancia anche il dialogo interconfederale per una nuova struttura della contrattazione. Squinzi ha fatto in merito un’avance formale al sindacato. Avviamo, ha detto, il dialogo mai partito. Le risposte non sono state tutte positive, e nemmeno uguali da tutte e tre le confederazioni, ma non sembra il caso di disperare.
Anche perché la condizione posta da Squinzi per far partire questo negoziato non sembra insormontabile. Il presidente degli industriali ha chiesto infatti che il suo pentalogo sia accettato dal sindacato. Ma quelle richieste non sembrano distanti mille anni luce dalla posizione del sindacato. Cosa chiede infatti Squinzi? La centralità del contratto nazionale, che la contrattazione territoriale non diventi un terzo livello di contrattazione, che sia il contratto nazionale a fissare i minimi tabellari (e quindi non ci sia il salario minimo legale), l’attuazione del Jobs Act, la valorizzazione del welfare aziendale. Tutte cose che il sindacato non faticherebbe ad accettare. Certo, la nuova legislazione del lavoro targata Renzi non piace molto, soprattutto alla Cgil, ma è legge e indietro è difficile tornare.
Era facile prevedere che sarebbero state norme a maglia molto larga ed è altrettanto facile capire che non sarebbe questo l’ostacolo per il sindacato. A meno che qualcuno non preferisca che queste norme sulla contrattazione sia il governo a sancirle, magari per non assumersi la responsabilità di una scelta, l’accordo potrebbe essere raggiunto. C’è anche un’altra cosa chiesta da Squinzi, che ugualmente non dovrebbe creare molti problemi. Perché il presidente degli industriali ha indicato che per il conteggio degli aumenti salariali sia usato l’Ipca, ossia l’indice dei prezzi al consumo armonizzati al livello europeo e depurati della componente energetica: è vero che le critiche all’Ipca sono state molteplici in questi anni, ma questo metodo è stato accettato da tutti da anni, anche dalla Cgil che pure non aveva firmato l’accordo interconfederale del 2009.
Un aiuto all’intesa poi è venuto dai chimici e dal loro nuovo contratto. Perché in questo accordo è stato deciso che ogni anno si procederà a una verifica dei conti dell’inflazione fatti e la correzione, in un senso o nell’altro, sarà immediata. Un sistema che credo tutte le categorie potrebbero far loro per non doversi poi trovare nelle condizioni di quest’anno, quando il credito delle aziende verso i lavoratori era molto alto, fino agli 80 e ai 90 euro. Squinzi stesso ha fatto riferimento recentemente all’esigenza di una verifica del genere, per cui non dovrebbero esserci problemi.
E’ inutile sottolineare come un accordo interconfederale sulla contrattazione, che blocchi un intervento in merito del governo, sarebbe importante per frenare, se non per fermare, la campagna antisindacale che sta riempiendo i giornali, spesso con attacchi gratuiti e immotivati, ancora più spesso dettati da una non conoscenza degli esatti termini nei quali la questione va posta. Se ne sono lette di cotte e di crude in questi giorni, un bell’accordo sarebbe la risposta migliore, meglio di tante parole.
Massimo Mascini