“Il modello di previdenza complementare italiano è uno dei frutti migliori delle relazioni industriali degli ultimi decenni. Questa è la dimostrazione che quando si coinvolgono le parti sociali a progettare il futuro del Paese, si conseguono sempre buoni risultati”. E’ quanto ha sottolineato il segretario confederale della Uil, Domenico Proietti, nella relazione di apertura degli stati generali di Cgil, Cisl e Uil sulla previdenza complementare per fare il punto sul sistema dei fondi pensione a 20 anni dalla loro istituzione.
“Questo modello ha retto alla più grande crisi dei mercati finanziari degli ultimi 80 anni – ha detto – e oggi è preso a esempio in Europa e in tutto l’Occidente”. Dal 1993 a oggi il rendimento medio dei fondi pensione è stato nettamente superiore a quello del Tfr. Il trattamento di fine rapporto maturato e lasciato in azienda da un lavoratore in 20 anni da 58mila euro è diventato 75.749 euro. Lo stesso Tfr destinato invece al fondo pensione di categoria è diventato 103.134 per effetto dei rendimenti ottenuti. Senza contare che la tassazione finale è poi molto più favorevole per la previdenza complementare, con un’aliquota del 15% ulteriormente riducibile fino al 9%, rispetto a quella gravante sul Tfr che è mediamente del 23%.
“I rendimenti positivi – ha proseguito Proietti – sono stati peraltro ottenuti in situazioni di mercato che neanche i peggiori stress test avrebbero immaginato. Bisogna tornare a diffondere la cultura della previdenza complementare nella piccola e piccolissima impresa, nei giovani e nelle donne. Il sindacato e le parti datoriali devono avviare una nuova stagione di impegno e di informazione presso i lavoratori”.
Il segretario confederale della Uil ha poi affermato che “abbiamo dovuto lottare, negli ultimi anni, contro una continua e reiterata campagna di disinformazione e di vero e proprio depistaggio anche da parte di istituzioni pubbliche che hanno avuto l’effetto di disorientare i lavoratori”. Cgil, Cisl e Uil sono impegnate ad aumentare l’adesione per via contrattuale ricercando strumenti innovativi che introducano prassi favorevoli allo sviluppo della previdenza complementare.
“Oggi – ha aggiunto Proietti – i fondi per competere devono essere in grado di fornire prestazioni e servizi sempre più adeguati agli associati. Per svolgere questa funzione è importante poter contare su numeri rilevanti che si traducono in un patrimonio più forte e in disponibilità e capacità finanziarie più ampie. Fusioni in settori vicini e integrabili e sinergie sono quindi in grado di migliorare concretamente l’offerta e la competitività delle forme pensionistiche contrattuali”.
Secondo la Uil “questa scelta permetterebbe di realizzare economie di scala, ma soprattutto di cogliere le possibilità cui possono accedere fondi di grandi dimensioni rispetto a quelli più piccoli”. Allo stato, 9 fondi pensione negoziali hanno meno di 10mila iscritti e per quanto riguarda il rapporto tra aderenti e bacino potenziale di riferimento i dati non cambiano di molto.
Diversi studi hanno mostrato come su un orizzonte temporale lungo, per esempio 30 anni, il minor costo per gli aderenti derivante da una consistente razionalizzazione dell’offerta potrebbe stimarsi nell’ordine di 1,2 miliardi di euro, con una crescita del montante finale e quindi della rendita anche del 5%.
Per i sindacati si deve procedere a un rafforzamento e a un’ulteriore qualificazione della governance. In un arco temporale di 35 anni con un versamento annuo di 2.500 euro a parità di rendimento e tassazione, la Uil stima che l’aderente iscritto a un fondo negoziale accumulerebbe 158.949,55 euro, mentre uno iscritto ai fondo previdenziale aperto 140.472,52 euro (-18.477,03 euro), mentre uno iscritto a un piano individuale pensionistico 125.259,36 euro (-33.690,16 euro).
“La previdenza complementare di natura contrattuale collettiva costituisce un’esperienza di successo, ma che rimane ancora poco diffusa fra i lavoratori delle piccole e piccolissime imprese e nel settore del pubblico impiego”, ha aggiunto Petriccioli, proseguendo, “per raggiungere gli obiettivi che il legislatore gli aveva assegnato oltre 10 anni fa – ha detto – occorrono politiche pubbliche coerenti, che sviluppino l’educazione previdenziale e che valorizzino anche sul piano fiscale il risparmio previdenziale gestito dai fondi pensione negoziali, distinguendolo da altre forme del risparmio gestito. I fondi pensione possono offrire un contributo importante anche al finanziamento dell’economia reale purché il Governo crei condizioni di investimento favorevoli che garantiscano la sicurezza del risparmio degli aderenti”.
“Occorre inoltre equiparare la disciplina fiscale della previdenza complementare dei dipendenti pubblici al livello di quella dei privati – ha concluso – i contratti collettivi accompagneranno questo processo sia sostenendo un processo di accorpamento fra i fondi pensione, in modo da realizzare economie di scala e strutture organizzative più efficienti nell’interesse degli aderenti, che realizzando laddove possibile forme di adesione generalizzata in grado di consentire un accesso diffuso ai lavoratori”.