Cosa è meglio, il contratto nazionale o quello aziendale? Tutti ne discutono, ma il dibattito resta sempre a metà, soprattutto nessuno fa seguire i fatti alla parole. Alfredo Pasquali, esperto di relazioni industriali, si spende per un decentramento della contrattazione, purché sia coraggiosa e non si limiti a mantenere l’attuale sistema.
Pasquali come saranno le relazioni industriali del futuro?
Certamente più variegate di come sono adesso. Non ci sarà un solo modello, coesisteranno modelli fortemente decentrati, come l’attuale contratto Fiat, e modelli invece accentrati, come i contratti nazionali di oggi. E poi ci saranno tanti modelli differenti intermedi tra queste due posizioni. E sarà un bene, perché il valore positivo su cui costruire qualcosa è proprio l’alternatività, la possibilità di scegliere, una vera opportunità.
E in base a quali criteri si sceglierà l’uno o l’altro modello?
La scelta vera si farà sulla partita salariale. Adesso la distribuzione avviene per lo più col contratto nazionale. e la scelta di fondo è fatta già al livello interconfederale, quando si sceglie appunto un modello e lo si impone a tutti. L’alternatività sarà data dalla possibilità di dare aumenti salariali importanti anche in azienda.
Ma qual è il modello migliore, il più efficiente?
Se l’obiettivo è un modello partecipativo basato non sulla distribuzione elargita per ridurre la conflittualità, ma sulla crescita della produttività, la scelta non può che essere quella aziendale.
Ma anche adesso questo modello è praticato.
Sì, ma quello che serve è un vero salto di qualità. Pensare di adattare con piccoli cambiamenti l’attuale sistema non è possibile. Le percentuali in gioco sono minime. Ma soprattutto io credo che se si vuole disegnare un modello partecipativo prima occorre trovare il consenso su alcuni valori di fondo, quelli che sono già condivisi dalle parti. Tutti hanno interesse che cresca la produttività, ma bisogna trovare un equilibrio tra le diverse esigenze.
E quali sono questi valori?
Il primo è la flessibilità, che non deve essere sinonimo di irregolarità: penso a orari tagliati sulle esigenze delle aziende, ma anche dei lavoratori. Penso alla flessibilità del salario, che può essere legato a risultati sia collettivi che individuali. E un altro valore è quello della stabilità. Chi è precario non ha interesse a far crescere la produttività, perché non investe nel lungo periodo.
E’ possibile combinare flessibilità e stabilità?
Sì, è possibile, ma ognuno deve trovare il proprio equilibrio. Ma è evidente a questo punto che adattare i contratti a queste esigenze è quasi impossibile. Si deve agire al contrario, cercare nelle singole realtà come questi valori si realizzano meglio e di conseguenza scegliere il modello contrattuale. E’ chiaro però che il collegamento tra dinamica del salario e risultati operativi si può fare solo in azienda.
Quindi lei dice che il modello migliore è quello aziendale.
Non è detto però che tutte le aziende preferiscano i contratti decentrati, al contrario. La cosa migliore è poter scegliere.
Questa alternanza esiste già però, si realizza con il sistema delle deroghe.
Semanticamente deroga vuol dire cambiamento minimale, scostamento, per lo più in peius. Ma così si torna alla maledizione del secondo livello, che tutti dicono di preferire, purché però si tratti di cambiamenti minimali. Adesso serve un salto deciso rispetto al passato.
Quali sono le condizioni nelle quali il decentramento può funzionare?
La prima è che le aziende ci credano davvero, perché il decentramento deve essere accompagnato da pratiche realmente partecipative. La seconda è che ci sia un sindacato aziendalista, che riconosca le esigenze delle imprese in quanto tali, tutte diverse le une dalle altre.
Quindi contratti nazionali ampi e leggeri, che diano non possibilità di deroghe, ma flessibilità. Pensa che sia possibile raggiungere questo traguardo con queste parti sociali?
Ci riusciranno se saranno in grado di sviluppare un adeguato dibattito su vantaggi e svantaggi di ciascun modello. Finora se ne parla, ma senza mai arrivare al fondo, e soprattutto senza far seguire i fatti alle parole. Nessuno nega la validità del contratto d’azienda, ma poi si firmano contratti nazionali che rendono sempre residuale quello d’azienda. Si privilegia la certezza del passato alle opportunità del passato.
Se non si cambia che rischi si corrono?
Decentramento vuol dire avvicinamento tra i contratti e la realtà. Se non lo si fa queste due realtà andranno in collisione. Se invece si riesce a decentrare davvero i risultati possono venire.
Che sindacato serve per questo progetto?
Un sindacato che accetti la regola della maggioranza.
Massimo Mascini