Il servizio call center di Poste italiane ed Enel è stato appaltato a nuove aziende: si parla di 8000 esuberi, da qui alla fine del 2016, 450 dei quali solo nel prossimo mese di marzo. Per approfondire la vicenda, che sarà discussa il 9 marzo al Mise, Il diario del lavoro ha intervistato Michele Azzola, segretario nazionale Slc-Cgil responsabile dell’area reti TLC.
Qual è la situazione dei cambi d’appalto nel settore dei call center e, nello specifico, in quelli di Poste Italiane ed Enel?
Negli ultimi anni, politiche del lavoro poco attente hanno generato cambi di appalto e un crescente numero di esuberi. Per oltre due anni abbiamo chiesto al governo di recepire, come gli altri paesi europei, la possibilità di garantire la continuità occupazionale nei call center. La clausola sociale è stata finalmente inserita nel ddl Appalti, approvato il 13 febbraio 2015. Le gare d’appalto di Poste ed Enel, sebbene già avviate prima che la legge approdasse in Parlamento, si sono concluse dopo la sua approvazione. Quel che chiediamo al governo, quindi, è semplicemente di far rispettare le regole, specialmente ora che le aziende sono ancora pubbliche. Il percorso intrapreso da Enel e Poste è un percorso miope, dannoso e poco trasparente, soprattutto perché i manager aziendali recepiscono migliaia di euro di bonus che guadagnano sul risparmio del costo del lavoro. Il problema, infatti, è proprio il sistema d’incentivazione che si da ai manager senza pretendere la responsabilità sociale delle aziende. Le gare d’appalto, vinte da aziende impresentabili che offrono tariffe bassissime per garantire il servizio, porteranno a una situazione in cui si avvieranno, solo a marzo, 450 precedure di licenziamento, che arriveranno a 8000 entro la fine dell’anno.
Quali sono gli altri problemi del settore, oltre agli appalti?
Nel 2012 era stata approvata una legge, nello specifico l’art. 24bis della legge 134, contro il fenomeno della delocalizzazione all’estero che prevedeva sanzioni fino a diecimila euro. Questa norma non è mai stata applicata. E’ stata invece applicata la politica del prezzo al ribasso. Le aziende sceglievano di delocalizzare in Albania o in Tunisia dove ci sono tanti lavoratori che parlano l’italiano e ovviamente a costi bassissimi. In questi paesi sono stati trasferiti circa quindicimila posti di lavoro. Inoltre, dobbiamo affrontare un altro problema: l’Inps ha cambiato il sistema d’inquadrato di grandi aziende come Almaviva collocandole nei servizi, quando stiamo parlando di un settore totalmente industriale. In questa maniera i lavoratori non hanno la possibilità di usufruire degli ammortizzatori sociali.
Quali sono le aziende che hanno vinto gli appalti call center di Poste italiane ed Enel?
Sono aziende italiane molto particolari. Abbiamo il caso di un’azienda abruzzese che non ha chiuso i bilanci perché ha contratto un pesante debito Inps verso lo Stato, mai estinto, e che non verà nemmeno mai pagato, perché l’offerta alla committenza è così bassa da rendere impossibile il pagamento dei contributi. In questo modo si creerà un bolla che prima o poi scoppierà. Queste aziende, a fronte di costi del lavoro così bassi, arriveranno al fallimento, e i crediti che dovrebbe riscuotere lo Stato, verranno persi. Per fare un esempio, Poste usufruiva del servizio di un call center di Catanzaro, Infocontact, che è fallito, lasciando un debito di 6 milioni di euro. Al call center fallito è subentrato Abramo, che, nonostante non abbia garantito l’anzianità, ha salvato 300 posti di lavoro. In questo momento, Poste ha tolto la committenza ad Abramo e l’ha ridata a un’azienda della specie Infocontact, ritornando praticamente punto e a capo.
Qual è l’obiettivo di Poste ed Enel, e che ruolo ha avuto in questa vicenda la semi privatizzazione di Poste?
La privatizzazione non c’entra. Poste ed Enel hanno l’esclusivo obiettivo di abbattere i costi. Se analizziamo i bilanci italiani della grande committenza, i risparmi ottenuti con la politica del prezzo al ribasso valgono lo 0.01%, quindi niente. Gli uffici acquisti hanno però una politica retributiva che li spinge al risparmio per poter ottenere dei bonus di centinaia e migliaia di euro sul proprio stipendio. Pur di risparmiare, quindi, accettano qualsiasi strada, anche quella di affidare il servizio call center ad aziende impresentabili. Il risultato, infatti, è che si perdono posti di lavoro, non si investe nell’innovazione e nella formazione dei lavoratori e gli italiani si lamentano del servizio. E oltretutto si crea un danno anche per le casse dello Stato.
Quali sono, ora, i possibili scenari?
Gli italiani pensano che nei call center ci sia “Tutta la vita d’avanti”! In realtà, la crisi ha trasformato i call center. E’ diventato un lavoro vero e proprio per migliaia di trenta-quarant’enni che magari hanno creato una famiglia. Il lavoro nei call center non è un posto di passaggio e, se si avviano le procedure di licenziamento, ci troveremo di fonte a famiglie azzerate per meri incentivi economici ai manager. Non c’è nessuno in grado di controllare la reazione di chi, in quelle città, perde il posto di lavoro da un giorno all’altro. Di chi passerà dalla vita ordinaria alla disperazione. Le reazioni non saranno semplici e questo porta preoccupazione, tanto al Mise, quanto al sindacato.
Cosa vi aspettate dall’incontro al Mise?
Siamo stati chiamati dal Mise dopo aver proclamato lo sciopero dell’11 marzo. Le nostre decisioni sulle future mobilitazioni dipenderanno dal risultato dell’incontro; per questo abbiamo deciso di sospendere, anziché revocare, lo sciopero. Andremo al ministero con una presenza massiccia di lavoratori, mettendo in piedi un presidio davanti la sede dell’incontro. Noi abbiamo tre tipi di richieste: che Poste ed Enel vengano chiamate dal MISE per far rispettare la clausola sociale; l’applicazione della legge sulla delocalizzazione, ovvero l’art. 24 bis; e infine la pretesa che siano chiamate tutte le parti sociali a governare i processi di crisi. Se su questi punti non ci sarà un’apertura, continueremo la mobilitazione. Finora abbiamo un’unica certezza: se non si trovano delle soluzioni, le reazioni non saranno governabili. La priorità, quindi, è che le leggi siano applicate da tutti, multinazionali comprese. Si tratterebbe di un segno di civiltà.
Alessia Pontoriero