“Chi non ha risposto ad un approccio collaborativo conoscerà il lato oscuro dell’accertamento”. Questa è l’espressione utilizzata dalla direttrice dell’Agenzia delle Entrate Rossella Orlandi, rivolgendosi ai contribuenti chiamati ad inviare ‘collaborativamente’ alcuni dati informativi all’Agenzia delle Entrate utili alla formulazione di successivi accertamenti. Non sono sicuro che l’approccio minaccioso e intimidatorio sia il miglior modo per gestire il rapporto con i contribuenti.
Chi ha memoria lunga in questo settore ricorderà nei trascorsi anni Ottanta la stagione legislativa delle cosiddette ‘manette agli evasori’, che arrivava a prevedere sanzioni penali pesantissime anche per inadempimenti marginali e di natura formale. Una stagione conclusa poi tra l’alluvione di ricorsi nelle commissioni tributarie e procedimenti archiviati presso le Procure della repubblica, senza che per questo si sia in alcun modo modificato l’approccio dei contribuenti all’obbligo tributario.
L’eccessivo carico di adempimenti, oltre ad esasperare i destinatari, complica la fase dei controlli; l’eccessiva previsione di leggi e regolamenti, spesso farraginosi, aumenta le divergenze interpretative e la discrezionalità, con la conseguenza di doversi affidare alle soluzioni dei giudici tributari, lente e imprevedibili. Questo contesto è fortemente discriminatorio tra i contribuenti, a vantaggio di quelli meglio attrezzati, con maggiori disponibilità di tempo e risorse per organizzare le proprie difese.
Oggi l’amministrazione finanziaria è in condizione di poter conoscere ogni nostro consumo, ogni nostro spostamento e tutte le nostre disposizioni bancarie. Il nostro spontaneismo e la nostra collaborazione non dovrebbero essere più i fattori decisivi per arrivare a determinare il proprio carico fiscale. La fase della cosiddetta ‘autodichiarazione’ della nostra riforma tributaria degli anni settanta sarà sostituita da una sorta di parametrizzazione delle nostre abitudini di spesa, in base a ragionevoli criteri predeterminati e generalmente accettati. Il criterio di determinazione della base imponibile sarà ispirato a valutazioni complessive e approssimate, non più a velleitarie determinazioni analitiche difficili da applicare e faticose da controllare. Il carico fiscale sarà stabile e quindi prevedibile, con grande beneficio per il contribuente e per l’erario. Dobbiamo solo sperare che questa evoluzione, certa e ineluttabile,acceleri il suo corso.
Il fisco ha a che vedere con le teorie contrattualistiche dello Stato che tracciano il rapporto tra individuo e collettività, con le ‘definizioni’ di democrazia che misurano l’intensità dell’autorità pubblica esercitata nel limitare gli interessi individuali. Il fisco è una cosa seria, deve recuperare la solennità e l’autorevolezza che una cruciale funzione statale deve possedere, non può essere abbandonato alla gestione di improvvisatori o peggio ancora di grigi Leviatani.