Notizie positive ma non troppo, è quello che rileva l’Almanacco del’economia numero 4 pubblicato lo scorso 23 Marzo. L’andamento dell’economia “denota un ritmo di crescita per l’Italia assai più modesto delle aspettative e, comunque, inferiore alla media dei principali paesi industrializzati ed europei”. La crescita di fine anno è pari appena allo 0.1% e, secondo il rapporto redatto dagli analisti della Cgil, l’unico segnale positivo è quello della produzione industriale che “a gennaio segna un rimbalzo.”
La riforma del mercato del lavoro non ha infatti incentivato le assunzioni che, secondo i dati INPS, sono diminuite del 40% “se non attraverso più di 9 milioni e 227 mila voucher”.
“In sintesi – si legge nell’Almanacco di Marzo – la deregolazione del mercato del lavoro non ha avuto alcun effetto positivo sull’occupazione e sulla crescita e, anzi, si è creata maggiore precarietà; i nuovi posti di lavoro sono incommensurabilmente inferiori a quelli che si sarebbero potuti creare con le medesime risorse spese nel 2015 (7,5 miliardi di euro tra sgravi contributivi per i contratti a tutele crescenti e deduzioni Irap sul costo del lavoro a tempo indeterminato).”
Tutto sommato però il nuovo indice Iride “s’illumina di verde speranza” ma ancora tanto di deve fare come consigliano gli stessi analisti: la crescita congiunturale dell’Italia è trainata dai consumi privati ma “se non si realizzano subito nuovi investimenti pubblici e se non si moltiplicheranno nuovi posti di lavoro di qualità la ripresa appena cominciata sarà già finita”.
Ovviamente, la situazione italiana è influenzata da un clima economico internazionale che vede l’Europa crescere meno di tutti gli altri paesi in un contesto di crescita economica mondiale che continua a rallentare. Il prezzo del petrolio non sembra voler scendere soprattutto perché nuovi produttori si stanno affacciando sul mercato, grazie all’uso di nuovo tecnologie estrattive, e la reazione dei vecchi paesi produttori di petrolio, come Russia, Arabia Saudita, Venezuela e Qatar è stata quella di “organizzare un cartello per ridurre i prezzi, anziché sostenerli, per porre barriere all’entrata ai nuovi produttori e ai nuovi prodotti.”
L’Europa dovrebbe cambiare le sue linee guida, come ha dichiarato Draghi ma anche istituzioni internazionali come l’OCSE, il Fondo Monetario Internazionale e lo stesso Governo Italiano nel Documento Italiano per l’Europa, che vorrebbe dire “una politica diversa da quella dell’austerità, una politica fiscale espansiva una politica di bilancio in deficit spending”. Ma, come continua il nuovo Almanacco della Cgil, non si rinuncia “al martellante richiamo alle riforme strutturali , soprattuto nel mercato del lavoro” e sottolineano gli analisti “non vi è alcuna coerenza del governo italiano tra le richieste all’Europa e la politica nazionale, a partire dlla Legge di Stabilità varata a dicembre scorso, fino ad arrivare all’annuncio di una nuova riduzione del cuneo fiscale, misura ancora una volta iniqua e a vantaggio soprattutto delle imprese.”
Il documento si conclude sottolineando che “creare, tutelare e rappresentare il lavoro, come proposto dalla Cgil con il Piano Lavoro, la Carta dei Diritti e un Moderno sistema di relazioni Industriali, sia l’unica via per uscire dalla crisi e per un nuovo modello di sviluppo.”