Ma è davvero possibile un accordo tra Confindustria e sindacati? E semmai su quali basi, per quali argomenti? Una risposta precisa sembra davvero impossibile. Innanzitutto sulla possibilità che a un accordo si arrivi. Delle intenzioni di Vincenzo Boccia, a fine mese presidente di Confindustria, si sa poco o nulla. Il fatto che abbia indicato come vicepresidente per i problemi delle relazioni industriali Maurizio Stirpe, classificato come colomba, lascia credere che voglia aprire un dialogo vero con la controparte, magari per arrivare a un accordo in tempi brevi. Ma non è così semplice come si potrebbe credere.
Innanzitutto Boccia è debole, perché non è riuscito a sanare la frattura tra i due partiti esistenti in Confindustria. Il voto del consiglio generale che ha approvato il suo programma quadriennale e la squadra con cui pensa di realizzare quel programma ha confermato l’esistenza di questa frattura, come del resto il fatto che nella sua squadra non appare nemmeno uno degli esponenti che appoggiavano Alberto Vacchi, l’altro candidato alla presidenza. Una presidenza debole, quindi, come debole è stata quella di Giorgio Squinzi nei passati quattro anni, afflitta dalla stessa sindrome. Non è un problema tale da impedire di muoversi, ma certamente non è da sottovalutare.
Ma soprattutto non si capisce se esistono al momento i presupposti per aprire un dialogo vero sul tema centrale, quello delle regole per la contrattazione. Il tentativo esperito da Confindustria nel tardo autunno dell’anno passato aveva un senso perché doveva ancora iniziare la stagione contrattuale. Si andava a rinnovare i maggiori contratti, molti dei 66 contratti nazionali che Confindustria firma, e la rappresentanza delle imprese chiedeva ai sindacati di stabilire regole più in riga con i tempi che stiamo vivendo.
Quella richiesta però è stata respinta dai sindacati che volevano invece dar luogo prima ai rinnovi in programma e solo dopo cercare nuove regole. E così è stato perché la stagione contrattuale è iniziata e alcuni contratti, anche importanti, sono stati rinnovati. Non tutti però, non per esempio quello dei metalmeccanici, che proprio oggi riprendono il negoziato, ma vedono ancora lontano il momento di un accordo. Ed è per questo che appare adesso difficile aprire un dialogo sulle regole della contrattazione, perché si è un po’ a metà del guado, né da una parte, né dall’altra, alcuni contratti sono stati rinnovati in un modo, altri no. Non si capisce quale sia la via giusta, quali i contorni di regole valide per tutti. Anzi, sembra al momento vero proprio il contrario, cioè che forse non esiste un tipo di contratto valido per tutti, ogni settore ha la sua tipologia, le sue caratteristiche e di queste si deve tener conto quando si stabiliscono le regole della contrattazione. I chimici hanno espresso un’indicazione che per i meccanici non va bene, ma allora è giusto forzare la situazione e comunque arrivare a regole valide erga omnes? Probabilmente no.
Questo non vuole dire che un accordo non sia necessario, ma forse per altri temi. Sulla rappresentanza, per esempio, e del resto in questo campo le indicazioni del Testo unico del gennaio 2014 sono più che valide. Si tratta allora semmai di rivedere quelle norme, cambiarle se serve per arrivare a un’applicazione effettiva, che finora non è stata possibile. E magari arrivare anche a stabilire regole valide per la rappresentanza nel campo datoriale dove la confusione regna sovrana, tanto è vero che proprio da qui nasce la proliferazione di contratti nazionali che si è avuta in questi ultimi anni. E forse è possibile arrivare proprio in questo campo a un intervento legislativo, perché altrimenti un semplice accordo con la Confindustria non avrebbe molto senso.
Ma soprattutto credo che un accordo interconfederale serva sul terzo argomento di discussione, quello della partecipazione. Il documento dei sindacati del gennaio di quest’anno contiene delle novità molto interessanti al riguardo e sarebbe bene allora che si sviluppasse un dialogo per verificare cosa sia possibile fare in merito, se non sia giunto il momento di andare oltre il confronto basato sempre e solo sul conflitto. Deve nascere una sensibilità diversa soprattutto all’interno delle imprese, una consapevolezza maggiore sui benefici che può dare una vera partecipazione, dettata non dalla volontà del sindacato di controllare quello che fanno le imprese o dalla ricerca di una pace sociale a basso costo da parte delle imprese. Potrebbe essere questa l’occasione per sviluppare una vera consapevolezza del fatto che gli interessi di sindacati e imprese possono essere differenti, ma difficilmente sono configgenti. Le stesse richieste che alcuni settori industriali avanzano ai sindacati per una diversa contrattazione sembra partano proprio dalla consapevolezza che davvero si è tutti sulla stessa barca. Ma allora la partecipazione deve finire di essere argomento stanco di convegni noiosi e diventate regole di vita. Magari stabilite poi anche da una legge. Questo è un campo sterminato, dove un dialogo interconfederale potrebbe portare molto lontano, far crescere davvero le relazioni industriali, sganciandole dal conflitto che ci portiamo avanti da settant’anni. Quando sono riprese le relazioni industriali, appunto settant’anni fa, le parti sociali capivano bene che serviva qualcosa più del conflitto e nacque una entente importante. Beh, è lì che dobbiamo tornare, quel clima dobbiamo far rivivere. Non è facile, ma tutto il resto conta davvero poco.