Uno studio presentato al festival dell’Economia di Trento illustra le diseguaglianze di reddito e costo della vita che separano Nord e Sud Italia e che si ripercuotono sulle differenze tra i livelli occupazionali, la produttività del lavoro e il costo degli immobili. Tra i casi portati a esempio c’è quello dell’insegnante con uno stipendio di 1.305 euro che, se vive a Milano, ha un potere d’acquisto inferiore del 32% del collega che vive a Ragusa. Nelle regioni settentrionali, mediamente, il costo della vita è più alto del 16% e quello della casa del 36%.
Secondo Andrea Ichino dell’European University Institute di Firenze, curatore della ricerca, per evitare la distorsione bisognerebbe superare l’uguaglianza salariale imposta dai contratti nazionali di lavoro e favorire una contrattazione decentrata, non tanto su scala territoriale quanto a livello aziendale.
La tesi è che bisognerebbe prendere a modello la Germania, dove le differenze di produttività tra l’Est e l’Ovest sono compensate dalla possibilità di differenziare le retribuzioni, con l’effetto di creare maggiore equilibrio tra i tassi di disoccupazione e le variazioni del costo delle casa delle varie aree del Paese, nonché di incentivare la mobilità interna dei lavoratori.
Pur condividendo gli auspici di una maggiore uguaglianza tra abitanti delle diverse parti d’Italia, non credo che l’abolizione dell’uniformità salariale sia il principale problema da risolvere sulle retribuzioni. Ritengo, invece, sia necessario intervenire urgentemente sulle basse retribuzioni, in particolare sui salari di ingresso.
Secondo una recente indagine della Willis Towers Watson che confronta 15 economie del vecchio continente, con una media di circa 27mila euro l’anno il nostro Paese è all’ultimo posto per quanto riguarda i salari d’ingresso. Per le retribuzioni dei middle manager, con una media che sfiora i 71mila euro l’anno, ci posizioniamo all’undicesima posizione. L’indagine considera anche il peso fiscale e il costo della vita fornendo così previsioni sul “potere d’acquisto” dei lavoratori in ogni Paese preso in esame e gli italiani ne escono ovviamente con le ossa rotte!
Il relativo miglior piazzamento dei salari dei middle manager rispetto a quelli dei salari d’ingresso nella classifica delle retribuzioni in Europa potrebbe dimostrare che, da certe posizioni, è più facile difendere il proprio potere d’acquisto. Di certo, il potere negoziale dei lavoratori, nell’insieme, è determinato anche dalle condizioni ambientali, variabili a seconda dei contesti geografici, delle competenze e degli ambiti produttivi di riferimento.
L’iniquità delle diverse condizioni di vita e lavoro italiane è determinata infatti da una specificità di problemi che richiedono soluzioni complesse. Per prendere a modello l’esperienza della Germania non si può pensare solo alla flessibilità dei salari omettendo tutti quegli altri fattori che concorrono a determinare il buon funzionamento del mercato del lavoro: dalla formazione al collocamento, dalle condizioni sociali al welfare sanitario, dai servizi generali alle politiche di sviluppo del territorio.
L’equilibrio tra Nord e Sud passa da una nuova stagione di relazioni industriali in grado di incentivare i punti di forza di una contrattualità nazionale snella e innovativa. Servono contratti nazionali che garantiscano un quadro minimo di regole, di diritti e di doveri, lasciando spazio all’innovazione e alla contrattazione aziendale. Il Ccnl dei dirigenti del terziario è, in questo senso, un modello che, con le dovute proporzioni, può essere preso da esempio.
Infatti in poco più di quaranta articoli disegna un quadro di riferimento per quanto riguarda la previdenza, l’assistenza sanitaria e la formazione, legando le retribuzioni a un minimo contrattuale di 49mila euro annui come base di partenza di una retribuzione ponderata in base a vari criteri individuali, aziendali e territoriali.
Come si evince dai dati (JP Salary Outlook 2016) questo modello contrattuale ha determinato un adeguamento del rapporto tra retribuzioni dei manager italiani e ambiti territoriali: nel Nord Italia i dirigenti prendono in media 105.317 euro; al centro 104.676 euro; al Sud e nelle isole 94.693 euro.
La volontà di perseguire un sistema che incentivi maggiormente il merito e le competenze non è, quindi, incompatibile con la contrattazione collettiva nazionale. Al contrario. La contrattazione nazionale può essere ridimensionata nei contenuti per dare spazio alla contrattazione aziendale ma deve continuare a essere l’appoggio su cui fissare i minimi salariali e le regole di riferimento ovvero la base per rilanciare la produttività e l’innovazione del lavoro senza comprimere ulteriormente le retribuzioni ma, anzi, favorendone la crescita, a ogni livello.