Il disegno di legge che apre le porte del Paese al lavoro agile (AS n. 2233 – A), noto anche come smart working, pone il sindacato dinanzi ad una sfida importante. Quella di fare di questo nuovo lavoro uno strumento di conciliazione dei tempi di vita e lavoro per i lavoratori, di produttività per le imprese.
Rispetto al primo obiettivo, il sindacato è chiamato a mettere il lavoratore nelle condizioni di eseguire la prestazione lavorativa fuori dall’azienda, ovvero in luoghi e tempi compatibili con esigenze personali e familiari, entro adeguati standard di tutela.
Il disegno di legge lascia infatti irrisolti alcuni nodi. Non è chiaro, ad esempio, cosa accade al lavoratore “agile” che è vittima di infortunio in occasione di un viaggio con finalità di svago o, più semplicemente, del tragitto verso il supermarket durante i quali, però, attraverso dispositivi mobili (tablet, smart phone..), esegue la prestazione lavorativa. La copertura assicurativa sembra limitata al tratto compreso tra l’abitazione e il luogo “prescelto per lo svolgimento della prestazione lavorativa all’esterno dei locali dell’azienda”.
Non è chiaro come è garantita al lavoratore l’effettività del diritto alla disconnessione. Sorge il dubbio che il lavoratore rinuncera’ davvero ad evadere una richiesta fuori orario del datore di lavoro. Resta aperta la questione sul regime fiscale visto che la retribuzione del lavoratore “agile” è considerata di produttività ed è quindi soggetta all’imposta forfettaria del 10% entro i limiti massimo di 2.500 euro, anziché all’intera detassazione di alcune quote che sarebbe possibile se al lavoro agile fosse riconosciuta una finalità di welfare.
Manca, infine, la definizione dei confini di operatività della contrattazione individuale, a cui il disegno di legge affida la regolamentazione sul lavoro agile, e quindi dei margini di intervento della contrattazione aziendale a tutela del lavoratore, che nel tête-à-tête con il datore di lavoro, resta pur sempre parte debole.
Rispetto all’obiettivo di produttività, il sindacato è chiamato a rimodulare l’organizzazione delle aziende che ricorrono al lavoro agile. Perché, come insegna il premo Nobel Bob Solow, gli aumenti di produttività sono l’effetto della combinazione tra la tecnologia, come quella che ha reso realtà il lavoro agile, e l’organizzazione aziendale. Dunque, il sindacato dovrà porsi alcuni interrogativi. Vediamone alcuni.
Sono compatibili le figure professionali dei tradizionali contratti collettivi in un’azienda in cui l’uomo lavora a stretto contratto con l’automa, ovvero in una situazione nuova e con forti specificità?
Come ottenere il miglior risultato possibile dalla combinazione tra lavoro umano e lavoro robotizzato, ovvero quello che l’economista Weitzman definisce l’effetto della crescita ricombinante?
Quali fasi del processo produttivo scompariranno? Amazon, ad esempio, attraverso l’utilizzo dei big data, sarà presto in grado di prevedere gli ordini futuri con ventiquattro ore di anticipo con buona pace dello step della commessa da parte del cliente.
Di quali elementi dovrà comporsi la retribuzione del lavoratore agile, visto che perderanno senso quelli connessi all’idea di lavoro in un luogo fisso e soprattutto inciderà molto quanto il lavoratore sarà in grado di lavorare bene con i robot?
Per il sindacato si tratta, in fondo, della sfida di recuperare la funzione di player strategico per i lavoratori e per l’impresa. Nessuno escluso visto che, per effetto della soppressione dell’articolo 20 del disegno di legge, tutti i sindacati e non solo quelli comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale sono chiamati a mettere mano alla regolamentazione sul lavoro agile.
Soprattutto, si tratta della sfida che offre al sindacato l’occasione di dimostrare di saper cambiare pelle e che la crisi, in cui in questi anni è caduto, è stato solo una delle tanti fasi di una vita che si prospetta lunga.