La vicenda della tassazione in Europa della Apple ha profili di ampia complessità giuridica. Vorrei invece ritrarre qualche considerazione generale in merito alla sostanza politica.
Secondo la contestazione della Commissaria europea alla concorrenza è stato accordato dall’amministrazione finanziaria irlandese un ingiusto beneficio fiscale alla società di Cupertino tale da alterare la libera competizione tra imprese. Non vorrei commentare la fondatezza del presupposto per il quale applicando la tassazione ordinaria del 12% alla società Apple le imprese concorrenti avrebbero conseguentemente una maggiore chance di guadagnare quote di mercato a scapito della Apple (ma se questo non sarà dimostrato dalla Commissione il provvedimento sarà annullato dalla Corte di Giustizia). Vorrei invece tentare di evidenziare quale sia l’impatto del provvedimento comunitario, in termini di autonomia degli Stati e dei vincoli comunitari.
In base al cosiddetto tax ruling, una pratica ammessa dalle disposizioni interne agli Stati e dalle stesse leggi comunitarie, tra il fisco irlandese e la società Apple è stato raggiunto un accordo con il quale si è predeterminato il trattamento fiscale delle società del gruppo localizzate nel territorio irlandese. La finalità per il contribuente è quella di negoziare le regole di determinazione della base imponibile e di azzerare il rischio di inaspettati controlli con conseguenti costi imprevedibili. Gli obiettivi dello Stato sono invece quelli di incoraggiare la localizzazione sul proprio territorio di un’attività con tutto il precipitato che ne deriva in termini di investimenti, quindi di nuova occupazione, di maggiore consumi, di maggiori redditi locali e quindi di maggiori imposte a sua volta. In sostanza lo Stato irlandese ha scelto tra un’opzione che, sebbene a costo della rinuncia ad una larga parte del gettito, avrebbe assicurato benefici in termini occupazionali e comunque in ultima analisi anche fiscali, e l’ipotesi invece di non ottenere alcunché in mancanza di accordo con la Apple che forse avrebbe individuato un altro paese per localizzarsi. Dobbiamo presumere che lo Stato Irlandese, fatte le dovute analisi, abbia optato per la soluzione più conveniente.
La Commissione valuta se un provvedimento di uno Stato membro abbia come conseguenze quello di alterare la libera concorrenza tra imprese ed eventualmente ha il compito di rimuoverlo. A meno di casi eccezionali, non entra quindi nel merito della scelta politica, non elabora nessuna valutazione costi/benefici di una riduzione del gettito per lo Stato, non valuta le conseguenze di mancati investimenti. Tanto più che nella normalità dei casi di applicazione della disciplina degli aiuti di Stato, il beneficiario dello sconto fiscale è un’impresa nazionale che lo Stato tende a favorire a svantaggio di imprese estere. Il trattamento di favore è quindi un fattore eccezionale, anche in mancanza del quale all’impresa nazionale sarebbe comunque applicato il trattamento ordinario. Nel caso Apple invece si tratta di un’opportunità per l’Irlanda esistente solo in conseguenza dell’accordo raggiunto, in mancanza del quale la società americana non opterebbe per l’Irlanda quale paese di localizzazione.
Il provvedimento comunitario incide profondamente sulle libere scelte di politica finanziaria e non è irrilevante il fatto che lo Stato irlandese abbia già anticipato che si opporrà a qualsiasi provvedimento impositivo ai danni di Apple. Il contrasto non sembrerebbe dovuto ad interessi confliggenti, quanto piuttosto alla mancanza di ponderazione e di attenzione da parte dell’istituzione ai contesti specifici. Proprio quello che non ci vorrebbe in questo momento.