Pierre Carniti compie 80 anni. E’ un traguardo importante per una persona che – come ebbe a dire lui stesso nel discorso di congedo dalla segreteria della Cisl – ha combattuto la buona battaglia, ha terminato la sua corsa, ha conservato la fede. Carniti appartiene alla generazione dei ‘’Grandi sindacalisti’’: quelli che, nella seconda metà del secolo scorso, si cimentarono nel ‘’volo di Icaro’’, conquistando nuove condizioni di lavoro e di vita per milioni di lavoratori ed arrivando ad un passo dalla riunificazione sindacale. E, come Icaro, caddero con le ali bruciate dal sole a cui si erano avvicinati troppo.
Ho il privilegio di aver conosciuto Pierre Carniti, di aver lavorato con lui durante una parte importante (forse la più importante) della mia vita. Pochi leader sono riusciti, al pari di Pierre, ad influenzare tanto l’epoca in cui ha vissuto e a modificare la cultura dominante della propria organizzazione. Carniti veniva da lontano. Giovanissimo era partito dalla provincia di Cremona per frequentare, a Firenze, quella mitica Scuola quadri, a cui la Cisl aveva affidato la formazione del suo gruppo dirigente. I corsi duravano nove mesi, durante i quali venivano impartite (da docenti che poi “illuminarono” le loro materie, come Gino Giugni e Federico Mancini) nozioni di diritto del lavoro, economia, storia e scienze politiche, nonché lezioni sulle tecniche della contrattazione collettiva, che trasformava i giovani frequentanti in quadri sindacali preparati nell’affrontare le prime esperienze di contrattazione articolata sui complessi temi dell’organizzazione del lavoro. Poi, era finito a Milano alla Fim-Cisl, mettendosi in luce nel dibattito interno alla sua Confederazione, esprimendo una fortissima personalità, sostenuta da una solida tempra morale.
Nei primi anni sessanta, la sfida degli innovatori fu lanciata sul fronte dell’unità. Sconfitto insieme al gruppo denominato “amici di Firenze” nel Congresso confederale del 1969, Carniti approdò alla segreteria nazionale della Fim (segretario generale era ancora Luigi Macario), appena in tempo per diventare uno dei protagonisti dell’autunno caldo, insieme a Bruno Trentin e a Giorgio Benvenuto. Di quella segreteria nazionale facevano parte anche Pippo Morelli, Alberto Gavioli, Nino Pagani, Franco Bentivogli (il padre di Marco, attuale segretario della Fim-Cisl) ed altri. Carniti era un personaggio duro, lucido, deciso, carismatico, anche per la magrezza ieratica e il profilo sofferente. Ben presto diventò segretario generale dei metalmeccanici della Cisl e in quel ruolo affrontò la battaglia dell’unità sindacale all’interno di una Confederazione che fu sul punto di spaccarsi in due.
Il destino volle che il suo principale antagonista fosse un altro cremonese, Paolo Sartori, alla guida della Fisba, il sindacato dei braccianti agricoli, irriducibilmente anti-unitario e legato ai valori costitutivi della Cisl. Entrato in segreteria confederale dovette misurarsi con Franco Marini per la successione a Luigi Macario (che nel frattempo aveva preso il posto di Bruno Storti). Carniti rappresentava le categorie dell’industria e le strutture del Nord; Marini il pubblico impiego, il Sud e l’agricoltura. Intanto, il paese si era misurato con l’esperienza referendaria sul divorzio. Parecchi sindacalisti della Cisl (Macario, Carniti, Eraldo Crea, Manlio Spadonaro, Luigi Paganelli, Pippo Morelli ed altri) si impegnarono senza riserve, cogliendone il vero significato, nella battaglia a favore della libertà di coscienza il 12 maggio 1974. Dettero vita al movimento dei cattolici democratici il cui contributo fu fondamentale per il successo dei No, anche perché consentì di evitare una contrapposizione tra laici e cattolici. Macario e Carniti vinsero, poi, il Congresso del 1977. Due anni dopo, Macario si candidò alle elezioni europee e arrivò l’ora di Pierre. Pierre seppe portare avanti una soluzione di ricompattamento della Cisl, che da almeno un decennio aveva conosciuto profonde divisioni interne. Al vertice si costituì un tandem: Carniti divenne segretario generale e Marini “aggiunto”.
Alla direzione della Confederazione di via Po, Carniti arrivò alla fine degli anni ’70. Appena in tempo per diventare un protagonista della “svolta dell’Eur”, di cui Pierre fu un convinto e coerente sostenitore. La vicenda merita un rilievo particolare. Non apparteneva alla cultura della Cisl (e segnatamente della sinistra carnitiana) appassionarsi ai progetti di valenza politica. Anzi, molti esponenti della Confederazione, vicini da sempre a Carniti (ricordiamo, tra gli altri, Pippo Morelli e Cesare Del Piano), presero le distanze dalla piattaforma dell’Eur, in nome dell’autonomia del sindacato e del rifiuto della politica dei sacrifici. Ma Pierre non fece una piega e tenne duro.
Sarebbe sbagliato ritenere che fosse spinto dalle stesse motivazioni di Luciano Lama, il suo grande alleato di quella fase. Lama aveva in mente il disegno politico della solidarietà nazionale, grazie al quale si sarebbe potuto aprire una nuova prospettiva politica per il paese, con la sinistra divenuta nel suo insieme forza di governo. Toccava al sindacato, nella visione del leader della Cgil, favorire tale prospettiva. E non era solo una scelta subordinata, figlia della solita cinghia di trasmissione. Si diceva, allora, che il sindacato era interessato alla formazione di un quadro politico in grado di reggere e portare avanti l’ampiezza e la qualità della sfida del movimento operaio e di attuare le riforme.
Carniti era, invece, animato da un’altra suggestione: fare del sindacato un protagonista della politica in prima persona, diventando un interlocutore diretto dei governi al di fuori della mediazione dei partiti. E su questa impostazione (che in seguito venne definita) Pierre riuscì a determinare una vera e propria mutazione genetica nella cultura della Cisl, che non è venuta meno neppure adesso. La diversa maniera in cui era stata vissuta la svolta dell’Eur spiega anche perché, finita l’esperienza della solidarietà nazionale, la Cgil venne risospinta sul tradizionale terreno antagonista e rivendicativo, mentre la Cisl continuò a tessere la tela di un progetto politico. E Carniti divenne l’erede della filosofia dell’Eur, individuando nella lotta all’inflazione il terreno di impegno prioritario per un sindacato disposto a giocare in proprio, con il ricorso allo scambio politico, la partita del risanamento del paese.
Fu in quegli anni che Pierre ebbe due incontri fondamentali: con Bettino Craxi, impegnato a ridare vitalità ad un Psi esausto e rinunciatario; con Ezio Tarantelli, l’economista che seppe suggerirgli la chiave di volta per affrontare una dinamica del costo della vita divenuta inarrestabile (e prossima a trascinare nel declino l’economia), individuando nella disponibilità ad un intervento sulla scala mobile la carta che il sindacato doveva giocare rapidamente e senza pentimenti né remore. Per quanto Tarantelli si sbracciasse a spiegare che un decremento dell’inflazione avrebbe di per sé migliorato il potere d’acquisto delle retribuzioni, tanto che i lavoratori non avrebbero avuto nulla da perdere (tranne che le proprie catene), le sue teorie furono accolte come la negazione di un dogma, come un attacco gratuito ad un caposaldo della condizione operaia, ad una verità rivelata. Tarantelli pagò con la vita la sua apertura al nuovo, il suo coraggio per le scelte difficili ma giuste. Fu il piombo delle Brigate rosse a colpirlo a morte. Ma in quegli anni aveva raccolto l’odio profondo di quanti, anche senza premere il grilletto, non vogliono sentirsi dire che è necessario cambiare e sono sempre pronti ad incolpare gli altri – anche come singole persone – di ciò che non sanno comprendere ed accettare.
Per difendere un’idea che riteneva giusta e favorevole al paese e alla causa dei lavoratori, Pierre Carniti non esitò a mettere in crisi quell’unità sindacale a cui aveva tanto tenuto nel corso della sua vita. Divenne l’interlocutore del governo Craxi nella vicenda della scala mobile; con estrema decisione contrastò le agitazioni dei comunisti e le incertezze dei democristiani (è noto che la Balena bianca non era d’accordo di prendere di petto il Pci per una “banale” questione di salari), che pure gli ricadevano in casa attraverso la componente di Franco Marini, il quale, però, fu leale con Carniti. Quei mesi terribili gli minarono la salute già precaria e lo portarono poi a lasciare la direzione della Cisl. Per mesi non ebbe altri incarichi, fino a quando Craxi non lo propose per la presidenza della Rai. Carniti, però, non si sottomise alle logiche sparatorie dominanti. Si impuntò sulla nomina del vice-presidente ‘’lottizzato’’ e venne indotto a rinunciare. Approdò all’Iri (era presidente Romano Prodi) con l’incarico di occuparsi del lavoro nel Mezzogiorno. Anche da quel posto se ne andò quando si accorse che la struttura era sorda e impermeabile. Alla fine il Psi gli offrì una candidatura al Parlamento europeo, dove rimase per alcune legislature.
Quando il Partito socialista venne travolto, Carniti fondò un piccolo movimento in cui raccolse gli ultimi rimasti della sua componente sindacale (nel frattempo la Cisl era stata “normalizzata” da Sergio D’Antoni) ed entrò a far parte, prima dell’Ulivo, poi dei Ds. Come è strana la vita. Pierre si è trovato a percorre l’ultimo tratto di impegno politico insieme agli eredi di coloro che lo combatteremo a lungo e duramente e ai quali riuscì a dimostrare che loro non erano affatto invincibili. E’ stato presidente della Commissione per la lotta all’emarginazione sociale presso la Presidenza del Consiglio, fino al momento in cui l’allora ministro Livia Turco non lo sostituì. Così si ritirò dalla politica attiva per occuparsi di volontariato. Il Governo Prodi lo incaricò di presiedere una commissione, promossa insieme al Cnel, incaricata di redigere una relazione sulla condizione dei lavoratori. Poi, le cose sono andate come tutti sanno. Il lavoro della commissione si concluse con alcune relazioni, presentate distrattamente alla Camera. Chi ancora lo frequenta lo descrive tuttora esile, macerato, provato, ma lucido e brillante, tagliente nella battuta. E’ rimasto l’ultimo in Italia a chiedere una drastica riduzione dell’orario di lavoro come risposta strutturale alla crisi dell’occupazione. Per ritrovare il Pierre delle grandi battaglie basta incrociare il suo sguardo, quei “rai fulminei”, infossati nel cranio, che non hanno perso vivacità e che scrutano l’orizzonte alla ricerca di un’idea alla quale attaccarsi. Per non doversi mai arrendere. Che altro aggiungere se non un antico ricordo? Quando era ancora alla Fim di Milano, Carniti aveva fondato una rivista intitolata “Dibattito sindacale”, che leggevo sempre con grande interesse. Vi era riportata una frase di un dirigente laburista inglese (mi pare si chiamasse David Crossman) che mi è rimasta impressa come una regola di vita, anche se non sono più riuscito a ritrovarla nella sua stesura completa. Diceva che la libertà sarà sempre in pericolo e le nazioni rischieranno di perdere il loro benessere se una minoranza non si assumerà la responsabilità di contrastare l’arroganza dei potenti e l’apatia delle masse. E’ rimasto questo l’impegno categorico a cui Pierre ha dedicato l’esistenza. Con passione, ragione e coraggio: le tre parole con cui concluse il suo intervento di saluto allo storico Congresso della Fiom del 1970. Quando i metalmeccanici erano impegnati a dare l’assalto al cielo.
Giuliano Cazzola