Il caso voucher. Molti ne approfittano per eludere il sistema fiscale, abusando di uno strumento nato proprio per raccogliere quelle sacche di lavoro sommerso che altrimenti sarebbero rimaste nell’ombra. Il dibattito si aggira sul cancellarli o meno, la Cgil su questo tema ha proposto un referendum. Come si è arrivati a questo punto?
Per comprendere un fenomeno, è necessario iniziare dalle sue origini . Come tutti sanno, i voucher nascono con la legge 30, cioè legge Biagi. Il primo ad applicarli, nel 2007, sono stato io, come ministro del Lavoro. La norma prevedeva l’utilizzo esclusivo per la vendemmia e per i soli studenti e pensionati. Ne furono venduti 500.000 nel 2008. Oggi siamo a 150 milioni nel 2016, vale a dire 300 volte tanto.
Che cosa si puo fare per arginarli?
Io non penso che si debbano cancellare i voucher, ma che si debba ritornare allo spirito, alla lettera della legge Biagi. Ho presentato una proposta di legge nel febbraio 2016 che va in questa direzione e continuerà ad essere discussa in commissione lavoro della Camera a partire all’11 gennaio, insieme ad altre quattro proposte di legge.
Che cosa prevede la proposta?
Individua i settori di attività e soggetti che possono utilizzare i voucher. Quindi piccoli lavori domestici, la cura degli ammalati, di portatori di handicap, piuttosto che le ripetizioni private, lavori legati all’associazionismo, calamità naturali, situazioni di emergenza. I soggetti sono pensionati, studenti, portatori di handicap.
Quindi la formula è: ridotti i settori di impiego, ridotti gli abusi.
Si, riducendo anche i soggetti che possono utilizzarli, come soggetti disabili, in comunità di recupero, extracomunitari che hanno perso il lavoro entro i sei mesi dall’inizio della disoccupazione.
In questo modo pensa si spegnerebbe la “miccia” del referendum della Cgil sull’abrogazione dei voucher?
Questo è un problema che non mi pongo, avendo presentato la proposta nel febbraio 2016, quindi ben prima che apparisse all’orizzonte il referendum della Cgil. Sicuramente si tratta di un intervento sostanziale e la Consulta esaminerà il quesito.
La Cgil ha affermato di utilizzare il referendum anche come un pungolo al Parlamento per legiferare sulla materia.
Se questo è un obbiettivo della Cgil io lo condivido. E penso che il legislatore si debba occupare dei temi che la Cgil, oltre i voucher, come la responsabilità solidale degli appalti e l’art. 18, porta all’attenzione della politica. Sono tutti argomenti che hanno una evidenza e attualmente sono dei punti critici.
Sul quesito referendario della Cgil che ripristina l’articolo 18 nelle aziende sopra i 5 e non 15 dipendenti, come era scritto nella precedente versione di legge, si è acceso un forte dibattito. Sono nate due fazioni, la prima afferma che il quesito modifica la norma e quindi è inammissibile, l’altra è di parere contrario. Lei come si colloca?
Io penso che la valutazione dell’avvocatura dello Stato, del tutto legittima, non sia da condividere. Il motivo è che ci sono stati dei precedenti, come il referendum del ’93. Infatti, uno degli otto quesiti proposto dai radicali riguardava l’elezione del Senato della Repubblica; anche in quel caso fu ammesso un quesito di abrogazione parziale. Penso che anche il quesito della Cgil sia di abrogazione parziale.
Quindi la soglia dei 5 dipendenti non è modificativa?
No, perché si elimina la soglia generale dei 15 dipendenti e quindi quello che rimane è la soglia dei 5 dipendenti valevole per l’agricoltura, che diventa soglia generale. Questo conferma che il quesito è da una parte univoco e dall’altra parte non innova del tutto la normativa perchè si poggia su un qualcosa di esistente. Non è la prima volta che questo capita.
Sarebbe positivo per il mondo del lavoro un art. 18 del genere?
Questo è un altro discorso. Primo discorso è sulla ammissibilità. Mentre l’avvocatura dice “inammissibile perché manipolativo” io dico che a mio avviso è ammissibile. Come nel passato, sono stati resi ammissibili quesiti analoghi e quindi non lo ritengo manipolativo.
A suo avviso si tratta di tornare alla vecchia normativa, addirittura partendo dai cinque dipendenti?
No. Io sarei per interventi più selettivi sull’art. 18, come la questione dei licenziamenti collettivi: in passato avevamo già chiesto alla Camera di tenerli fuori dalla normativa del Jobs Act. La questione si è poi inasprita con la introduzione dei licenziamenti individuali. Inoltre interverrei sul piano dei licenziamenti nel caso di cambio appalti, argomento del resto già disciplinato dalle parti sociali tramite i contratti di lavoro nazionali.
C’è da considerare che non esiste un rapporto molto stretto tra datore e lavoratore in una azienda sopra i 15 dipendenti, quindi abbassare la soglia a 5 non è azzardato?
Guardi, in Germania, dove esiste l’art. 18, la soglia per la reintegra è 10 dipendenti.
Ma una persona che viene licenziata e poi viene reintegrata in una azienda sotto i 15 dipendenti è molto difficile, a livello umano, che ci ritorni a lavorare…
Bisogna non essere estremisti. O tutti o nessuno. Adesso nessuno, forse, domani, qualcuno. Insomma, tutti no ma qualcuno si.
Emanuele Ghiani