La sentenza della Consulta sui referendum lascia la Cgil insoddisfatta. Vero che due su tre dei referendum proposti dalla confederazione hanno avuto il via libera, ma vero anche che e’ stato bocciato proprio il quesito –bandiera di una nuova, grande campagna referendaria: quello sull’articolo 18. Un esito d’altra parte prevedibile, date le caratteristiche con cui era stato costruito il quesito stesso: che non si limitava a ripristinare l’obbligo di reintegra al di sopra dei 15 dipendenti, come l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori poi cancellato dal Jobs Act, ne’ a cancellare del tutto la soglia, come nel referendum del 2003 proposto da Rifondazione Comunista (e non appoggiato dalla Cgil), ma riduceva la soglia a 5 dipendenti, attraverso un “taglia a cuci’’ di parole da diversi provvedimenti, estendendo così a tutte le tipologie di impresa quello che la legge prevede solo per le aziende agricole.
Modalità che avevano sollevato qualche dubbio anche all’interno della stessa confederazione, superato però dalla volontà di far coincidere perfettamente le richieste dei quesiti referendari con quanto contenuto nella Carta dei diritti: la legge di iniziativa popolare presentata dalla Cgil in parallelo ai tre referendum, infatti, prevede il tetto dei 5 dipendenti come soglia per l’esenzione dalla reintegra. Una scelta dettata dalla coerenza, dunque, che tuttavia non ha coinciso con la correttezza costituzionale. Almeno non dal punto di vista, inappellabile, della Consulta.
Come succede ora e’ difficile da prevedere. Si possono però fare alcune considerazioni. Intanto, va detto che se un referendum sull’articolo 18 avrebbe facilmente portato come conseguenza lo scioglimento anticipato delle Camere per evitarlo, non e’ così per i due superstiti. Una campagna referendaria basata sull’articolo 18 sarebbe stata infatti una marcia trionfale per la Cgil, a cui si sarebbero accodati in tanti, dal M5S a Salvini (oggi, nelle dichiarazioni post Consulta, il piu’ deluso), alla sinistra Pd, rendendo quindi molto incerto l’esito delle successive elezioni politiche. Mentre molto più complesso sarà invece mobilitare l’elettorato sui due quesiti superstiti, appalti e voucher. Malgrado il battage mediatico di queste ultime settimane, anche quello dei ‘’ticket’’ per la mano d’opera occasionale rimane infatti un argomento che riguarda un bacino ristretto; inoltre, la stessa Cgil e’ stata recentemente messa in imbarazzo dalla scoperta che alcune sue strutture hanno fatto regolarmente ricorso all’odiato strumento.
Dunque, la confederazione dovrebbe andare al voto con le armi spuntate. Nella conferenza stampa di questo pomeriggio Susanna Camusso ha comunque dichiarato di voler procedere senza indugio: “Avviamo da oggi la campagna elettorale e chiederemo tutti i giorni al governo di fissare la data in cui si vota per i due referendum ammessi” ha scandito, esibendo,con notevole tempestivita’, i manifesti della campagna e il relativo slogan: ”Con 2 Si’ tutta un’altra Italia”. Ma intanto, Alfiero Grandi, coordinatore dei comitati per il No al referendum costituzionale del 4 dicembre, pur proponendo di mettere i comitati stessi a disposizione della campagna referendaria della Cgil, avverte: ‘’vanno celebrati, ma sara’ difficile raggiungere il quorum’’.
Il finale più probabile della vicenda e’ che su appalti e voucher intervenga il parlamento, modificando le leggi e, quindi, disinnescando il referendum. Lo dice chiaro Roberto Speranza, capo gruppo del Pd: “Prendiamo atto della decisione della Consulta. Ora c’e’ lo spazio per fare un lavoro in parlamento”. E Cesare Damiano, in una intervista al Diario del Lavoro, ha spiegato che la soluzione e’ ormai a portata di mano: sui voucher inizia oggi in Commissione lavoro della Camera la discussione su 6 proposte di legge, che prevedono il ritorno alla legge Biagi del 2003, e quanto agli appalti, sempre oggi è stata depositata una proposta di legge che condivide l’idea di un ritorno alla responsabilità solidale, come richiesto dalla Cgil.
Basterà per evitare il referendum? No, a sentire Susanna Camusso, che oggi ha ribadito: “niente correttivi, i voucher sono uno strumento malato, bisogna azzerarli’’. Ma e’ la dichiarazione di Pierluigi Bersani la più significativa, quella che sembra voler mettere la parola fine alla stagione degli scontri: “Il lavoro è stato precarizzato e umiliato, ma adesso sono inutili le barricate, bisogna fare un ragionamento comune. Mettiamo quindi mano ai voucher e riportiamoli alle logiche originarie. E se non un articolo 18, almeno un 17,5 ci vuole”. La palla, insomma, passa a parlamento e governo.
Nunzia Penelope