C’era una volta l’utilitaria. O meglio, c’era una volta la Fiat, ovvero una casa costruttrice di automobili il cui nome era sinonimo di utilitaria. Topolino, Topolino Giardinetta, 600, 500, e poi 127, Panda, Uno, Punto. Per decenni, dal secondo dopoguerra fino alla fine del Novecento, la forza della casa torinese è stata tutta, o quasi, nelle auto di piccole dimensioni, messe in vendita a prezzi contenuti.
Oggi la Fiat non c’è più. Al suo posto c’è la Fca, ovvero la Fiat Chrysler Automobiles, una società che, teoricamente, ha raccolto l’eredità delle due case dalla cui fusione è nata: l’americana Chrysler e, appunto, l’italiana Fiat. Però, mentre a prima vista l’eredità della Chrysler è tutt’ora vivace, a partire dal successo crescente di uno dei suoi marchi più classici, la Jeep, l’eredità Fiat, se non sta scomparendo, sta cambiando pelle. Nel mix di prodotti di Fca, infatti, le auto del segmento inferiore contano sempre meno, mentre cresce il peso relativo dei modelli di cilindrata e dimensioni maggiori.
Lo si era visto, per ciò che riguarda l’Italia, già nei primi giorni di quest’anno, quando era stato reso noto il dato secondo cui, dal 2012 al 2016, il peso relativo del segmento medio basso è sceso, rispetto al totale della produzione, dall’80 al 41%, mentre il medio alto è salito dal 20 al 59%. Ma va detto che qualcosa del genere sta accadendo anche per la Chrysler negli Stati Uniti. Qui, nel corso del 2016, è calata la produzione di due berline come la Crysler 200 e la Dodge (altro classico marchio del Gruppo) modello Dart, mentre vanno a gonfie vele le vendite di Suv, mini Suv e Pick up.
Fatto sta che, nel 2016, il totale dei veicoli venduti da Fca, pari a circa 4,7 milioni, è sostanzialmente uguale a quello del 2015. Invece, i risultati finanziari sono nettamente migliorati. Per farsi un’idea di quest’ultimo punto, basta dare un’occhiata ai titoli dei giornali italiani di oggi: “Conti record e taglio del debito”, proclama La Stampa. “Fca vola nei conti”, dice La Repubblica. “Fca, record di profitti”, precisa Il Sole 24 Ore. “Fca, record di utili”, insiste il Corriere della Sera.
Giovedì 26 gennaio, infatti, Fca ha reso noti i suoi conti relativi al 2016. Conti rispetto ai quali l’amministratore delegato, anzi il Ceo, Sergio Marchionne, si è mostrato comprensibilmente soddisfatto. Pur in presenza di un fatturato che, rispetto al 2015, è rimasto sostanzialmente invariato, a 111 miliardi di euro, l’utile netto è salito di venti volte, passando dai 93 milioni del 2015 a 1,8 miliardi. L’utile netto adjusted, quello calcolato senza tener conto dei cosiddetti “fattori straordinari”, è giunto a 2,5 miliardi di euro, crescendo meno dell’utile netto, ma pur sempre di un robusto 47%. Cosa anche più importante, in prospettiva, è poi il calo dell’indebitamento industriale netto, sceso dai 5 miliardi di fine 2015, dopo lo scorporo della Ferrari, a 4,5 miliardi di euro a fine 2016.
Quest’ultimo dato ha consentito a Marchionne di affermare che Fca è sulla buona strada per raggiungere gli obiettivi del piano industriale quinquennale traguardato al 2018, quello che fu annunciato a Detroit nella primavera del 2014. Un piano che aveva nell’azzeramento del forte debito che allora gravava su Fca uno dei suoi punti centrali.
Ora è quasi certo che le cause di questa crescita dei profitti, che consente di liberarsi strada facendo di parte del debito accumulato in precedenza, sono più d’una. Fra queste ha però sicuramente un ruolo importante lo spostamento dei prodotti dell’intero gruppo Fca verso la zona del mercato in cui è possibile realizzare rendimenti più alti.
Se ciò è vero in generale, è vero, come si è già accennato, anche e specificamente per il nostro Paese. Da questo punto di vista, non è forse un caso che, per ciò che riguarda lo stato di salute degli stabilimenti italiani, un tasto dolente sia costituito dalla linea dedicata, nello stabilimento di Melfi, alla produzione della Grande Punto. Qui, per i suoi 1.200 addetti, si è visto, nei mesi scorsi, un allarmante ritorno della Cassa integrazione. Buone notizie vengono invece, sempre da Melfi, per le linee di produzione della Jeep Renegade, un piccolo Suv destinato al mercato Usa, e della 500X.
Buone prospettive anche per Cassino, stabilimento dedicato ai modelli a marchio Alfa Romeo: Giulia e Stelvio. E lo stesso vale per Levante, il Suv a marchio Maserati prodotto a Torino.
Una delle leggende negative che sono circolate a lungo sulla figura di Sergio Marchionne è quella secondo cui l’amministratore delegato di Fiat, prima, e poi di Fca, sarebbe un uomo versato nella finanza, ma poco sensibile al prodotto industriale in quanto tale. In realtà, la scelta di rivolgersi, in misura sempre maggiore, ai piani alti del mercato, ha necessariamente dovuto tenere insieme i due corni del discorso auto perché, per realizzare profitti, era necessario sfornare nuovi modelli non solo caratterizzati da un maggior valore aggiunto, ma anche dotati di un appeal sufficiente a spingere qualcuno a comprarli. Perché chi non vende non incassa e chi non incassa difficilmente guadagna. Insomma, per cambiare, almeno in parte, il modello di business, Marchionne doveva mettere sul mercato dei nuovi modelli di auto non solo più redditizi, ma anche convincenti. Fin qui, pare che ci stia riuscendo.
Naturalmente, quella cui abbiamo accennato non è una scelta assoluta. Tra i marchi di maggiore successo, in Italia, c’è anche la nuova Panda, che si conferma, anzi, come un modello molto richiesto. Resta il fatto che, per il momento, Marchionne sembra voler concentrare tutte le proprie forze nel perseguimento del suo piano quinquennale 2014-2018, volto appunto a liberare Fca dal peso debitorio che grava sul Gruppo e a rendere il Gruppo stesso maggiormente capace di cogliere qualsiasi opportunità dovesse presentarsi per rafforzare la propria posizione.
Secondo annunci più volte ripetuti, quello relativo al 2018 dovrebbe essere l’ultimo bilancio Fca firmato da Marchionne. Al Ceo di Fca restano quindi due anni per centrare il primo dei suoi obiettivi dichiarati, quello, appunto, dell’azzeramento del debito. Più difficile capire se, in questo lasso di tempo, Marchionne riuscirà anche a realizzare il suo vero obiettivo strategico: far crescere ancora la dimensione del gruppo auto da lui creato.