Ivan Pedretti, segretario generale dello Spi, la categoria che raccoglie la metà degli iscritti alla Cgil, si prepara a una nuova tornata di confronto col governo sulle pensioni. Ma, nel contempo, tiene un occhio al dibattito precongressuale che si sta aprendo in Cgil, indicando i percorsi che si dovrebbero seguire per risolvere la crisi della rappresentanza e riacchiappare quel mondo del lavoro che oggi sembra sfuggire al sindacato.
Pedretti, il 21 si riapre il confronto sulle pensioni con il governo. Avevate iniziato con Renzi, proseguite ora con Gentiloni. Cosa pensate di ottenere?
La parte piu’ innovativa e significativa del confronto e’ quella relativa al riconoscimento del lavoro di cura e alla ridefinizione delle aspettative di vita-lavoro: come e’ noto, un laureato e un operaio non hanno la stessa aspettativa di vita. Poi, si deve stabilire come costruire un sistema previdenziale di garanzia per le nuove generazioni: e’ una antica proposta Cgil che non abbiamo mai abbandonato. E ancora, in tema di rivalutazione, nel 2018 si dovrebbe tornare al sistema precedente a Monti. Infine, dovremo fare una ulteriore fase di verifica sull’Ape nelle sue varie forme.
Tavolo che si presenta quindi molto impegnativo. Qualcosa però avevate già risolto con Renzi.
Solo la rivalutazione era già un impegno del precedente governo. Il resto e’ tutto da costruire col nuovo esecutivo. Così come il prossimo tavolo, che sara’ incentrato sul mercato del lavoro e gli ammortizzatori sociali.
Come vi trovate a lavorare col governo Gentiloni, rispetto a Renzi?
Quantomeno ora non ci mettono le dita negli occhi ogni giorno. Infatti ci hanno subito convocato. Confrontarsi e’ sempre positivo, anche se poi ovviamente decide il merito. Ma e’ comunque fallita la tesi della disintermediazione sociale sostenuta da Renzi. Il suo governo era già entrato in difficoltà anche a causa di questa tendenza. E il 4 dicembre e’ emersa tutta la distonia tra le posizioni del governo e il paese.
Cosa rimprovera maggiormente a Renzi?
Non aver capito che in un momento di crisi un paese non va diviso ma unito. Renzi doveva tenere tutti assieme, sindacati, imprese, forze sociali e politiche, per reagire alla crisi. Lo facemmo ai tempi di Prodi, lo ha fatto Obama, fin dall’inizio. In Italia, invece, abbiamo avuto prima Berlusconi, che ha puntato a dividere il sindacato, poi Monti e Renzi, che col sindacato nemmeno parlavano. Peraltro: posizione identica a quella del Movimento Cinque Stelle. Ma questo ha impedito che il paese mettesse insieme le forze migliori per superare la crisi. E infatti ci siamo ancora dentro fino al collo.
Solo colpe dei governi?
No, affatto. Questo non significa non riconoscere che c’e’ anche una crisi della rappresentanza sindacale. Che e’ un tema su cui dobbiamo riflettere e interrogarci, e che identifico, soprattutto, nel profondo cambiamento del mercato del lavoro: ci e’ avvenuto sotto gli occhi, mentre il sindacato era ancora tutto orientato verso l’industria e la grande impresa. Questo significa non sapere, non capire, cosa hai attorno. Oggi il mondo del lavoro e’ più frammentato di quanto fossero i braccianti ai tempi di Di Vittorio: i lavoratori non li trovi nei luoghi di lavoro classici, ma devi andarteli a cercare uno per uno sul territorio.
E come si fa?
Innanzi tutto riorganizzando il sindacato, in misura più orizzontale che verticale, come e’ invece oggi.
Lo state facendo?
Stiamo provando almeno a discuterne, per ora. Il Piano del Lavoro della Cgil va in quella direzione. Ma ovviamente, oggi il sindacato e’ ancora molto, troppo verticalizzato. L’esempio di confederalità migliore che abbiamo e’ proprio lo Spi: non avendo luoghi di lavoro, si e’ diffuso per forza di cose sul territorio. E sul territorio si affronta di tutto, dalla tutela delle persone a quelle collettive. Con uno scambio di flusso continuo: vengono da noi i pensionati, e noi andiamo da loro, li chiamiamo, li informiamo, spieghiamo i diritti, forniamo i servizi. E’ la contrattazione sociale, che deve affiancarsi a quella di impresa.
Ma chi può farsi portatore di questa nuova linea?
Intanto noi, lo Spi: che abbiamo, le ricordo, metà degli iscritti alla Cgil. E poi le Camere del Lavoro devono andare in questa direzione. E’ una azione di sviluppo necessaria. Oggi abbiamo ancora troppe categorie con lo sguardo rivolto all’interno.
Per esempio?
Per esempio: il lavoro metalmeccanico non e’ solo “Fiat centrico”, anche nel settore meccanico molte attività le trovi sul territorio, nelle piccole e piccolissime imprese, che tra l’altro sono oggi, spesso, anche le più dinamiche e competitive. Inoltre, se parliamo di guardare all’innovazione come a una opportunità, questo significa anche riavviare il discorso sull’orario di lavoro: non si può continuare a lavorare sempre di più ed essere pagati sempre di meno.
Mi sta dicendo che si dovrebbe tornare a discutere delle 35 ore, vent’anni dopo le infuocate polemiche dell’epoca?
Dico che va riconsiderata la necessità di tornare a discutere di redistribuzione e riduzione dell’orario di lavoro. E se mi obietta che costerebbe, le rispondo che anche la disoccupazione ha un costo, ben più alto di quello di una redistribuzione dell’orario.
Susanna Camusso e’ d’accordo con la sua impostazione?
In parte si e in parte no. Ma io credo che dalla situazione attuale si possa uscire solo con innovazione e cambiamento. Per esempio: io penso che l’innovazione della pubblica amministrazione avrebbe dovuto essere un tema lanciato dal sindacato.
A questo proposito, cosa ne pensa della proposta di Boeri sulle 7 ore di ‘’controllo’’ estese al settore privato?
Da Boeri vorrei piuttosto sentire cosa sta facendo l’Inps per contrastare quel 20% di evasione contributiva di cui soffre. Ma e’ vero che ci sono i disonesti, e se vuoi salvaguardare la maggior parte degli onesti, in qualche modo devi punirli, cosa che fin qui non e’ mai stata fatta. Il tema vero però e’ come rimetti a posto l’organizzazione del lavoro nel settore pubblico, come intervieni su spostamenti, turni, professionalità, retribuzioni, in un’ottica di maggiore efficienza. E in ogni caso, non possiamo passare come quelli che difendono lo status quo, o, peggio, i fannulloni. Se uno timbra in mutande, fuori. Se e’ assenteista, fuori.
Lo disse anche Bruno Trentin, credo per primo, mill’anni fa.
E infatti, sta parlando con un trentiniano. Lo vede il manifesto? (indica una gigantografia di Trentin, alla sua destra) Aggiungo: se parliamo di servizi ai cittadini, allora anche gli orari di lavoro dei pubblici devono essere H24, e quindi contrattiamo l’allargamento dell’orario
E’ ora di cambiare. Io credo che welfare e innovazione tecnologica, oltre alla ridefinizione della rappresentanza, debbano essere i nostri prossimi temi congressuali.
Al congresso si deciderà anche la successione a Susanna Camusso. Lei come la vede?
Io penso che il prossimo segretario dovrà saper guardare avanti, evitando fughe sia a sinistra che a destra. Va ricostruito il tessuto unitario della Cgil. Chi la dirigerà in futuro, dovrà considerare innanzi tutto la necessità di tenerla tutta insieme.
Il direttivo della Cgil oggi farà il punto sui contratti rinnovati, e su quelli da rinnovare. Come vede la stagione contrattuale? E c’e’ ancora la possibilità di fare una riforma delle regole con la Confindustria?
Sui contratti dico che occorre fare attenzione al welfare contrattuale, e’ uno strumento che va usato con cautela, per non creare disparità eccessive. Per esempio, trovo discutibili alcune soluzioni individuate nel contratto dei meccanici. Quanto a Confindustria, si e’ ripreso il dialogo, e si, credo ci sia la possibilità di trovare una intesa generale sulle regole.
Nunzia Penelope