Nella società della “fase liquida”, magistralmente descritta da Zygmunt Bauman, le grandi ideologie novecentesche hanno perso la loro capacità di descrivere la realtà e orientare i comportamenti.
Anche i partiti, le macchine del consenso organizzato, hanno mutato la loro natura: da pubblic company, in cui i proprietari sono l’azionariato diffuso degli iscritti, si sono trasformate in SPA in cui il proprietario è il socio di maggioranza insieme a una stretta cerchia di sodali (congiunti o amici di vecchia data) nel ruolo di partner di minoranza
Questi tratti sono riconoscibili in quasi tutti i partiti e movimenti nati e cresciuti dopo il big bang di tangentopoli.
Il partito azienda di Berlusconi è stato l’idealtipo, ma tratti similari sono presenti anche nel partito di Di Pietro (anche esso proprietario del simbolo) della Lega e ora, con una sovrapposizione totale, nel Movimento 5 stelle di Grillo e Casaleggio.
Caratteristiche di queste formazioni sono la trasformazione del simbolo in brand tutelato da regolare copyright e il rapporto esclusivamente fiduciario tra il CEO dell’azienda-partito e la platea degli iscritti. Un rapporto che rende superflue le lungaggini dei momenti decisionali (i riti della vecchia politica di memoria berlusconiana) e che utilizza come metodo di ratifica delle decisioni assunte quello dell’espressione di un semplice si o no alla proposta. Così è stato per Berlusconi quando si è trattato di scegliere il nome del partito e così è per il Movimento cinque stelle in cui è il blog di Beppe Grillo che pone a votazioni le decisioni altrove già prese.
Non diverso dai vecchi partiti è tuttavia il modo con cui, nella fase di crescita del partito/movimento, avviene il reclutamento degli aderenti/iscritti. Vale sempre la regola di Carl Schmitt per la quale una comunità di individui prende coscienza di sé stessa come comunità di intenti e si unisce nella fede negli stessi valori solo dopo (e non prima) avere identificato i nemici da combattere
Da questa dicotomia amici/nemici , di tradizione Hobbesiana, scaturisce sia il linguaggio violento che queste formazioni usano (Roma ladrona, la lotta contro la casta dei vecchi politici, la lotta contro il potere finanziario delle banche e dell’Europa) e sia il rifiuto (proclamato e reiterato) di venire a patti con i nemici che comprometterebbero la purezza originaria della nuova formazione.
I nemici, tuttavia, non sono i titolari di una diversa ideologia ma i possibili concorrenti perché, per un’azienda, l’importante è conquistare quote di mercato, indipendentemente dalle vecchie appartenenze come destra, sinistra o centro. Esattamente come nella caccia del topo, in cui è irrilevante il colore del gatto.
L’interclassismo del noi contro voi è parte di una ben orchestrata politica di marketing, il cui obiettivo è il raggiungimento di una condizione di monopolio nel mercato fluido dei potenziali votanti, ormai senza partito.
Inevitabilmente però arriva il momento in cui il nuovo partito/movimento deve fare i conti con la realtà data, specie quando la probabilità di divenire forza di governo si trasforma in una quasi certezza.
Serve allora deporre le armi della propaganda e della differenza antropologica verso l’universo mondo e iniziare una nuova fase di collaborazione con gli altri soggetti (politici, intellettuali o finanziari) che popolano il multiforme campo istituzionale.
Questa fase è stata attraversata dal partito azienda di Berlusconi che ha provveduto a reclutare soggetti provenienti da formazioni disparate e talvolta tendenzialmente ostili; e lo stesso vale per il partito-personale di Renzi, che, una volta trasformatosi da forza di rottamazione della vecchia dirigenza (il nemico/nemico di Carl Schmitt) in forza di governo, si è dotata di un inedito CdA, il cosiddetto giglio magico, alle dirette dipendenze del leader ed espressione del contesto istituzionale in cui il governo voleva dispiegare la sua azione in modo privilegiato. Un cerchio a cui sono stati ammessi anche esponenti di quella vecchia guardia (prima considerati espressione del male) a patto, naturalmente, che giurassero fedeltà al leader.
Questa fase sta ora interessando il Movimento cinque stelle, con una differenza non di poco rispetto al partito di Renzi.
Mentre Renzi, infatti, ha preso il controllo del partito con una sorta di congiura, ma rispettando comunque le regole dello statuto, per il Movimento cinque stelle nulla di questo si pone.
Il Movimento, infatti, è totalmente amministrato dai suoi fondatori (il binomio Grillo-Caseleggio) che, detenendo il monopolio dello stato di eccezione, stante il diritto loro accordato di ostracizzare i nemici interni senza possibilità di appello, hanno di fatto il potere usualmente concesso al sovrano.
Le loro scelte sono, dunque, insindacabili, come anche le loro strategie. E questo si è visto al Convegno di Ivrea. Una mossa intelligente. Nel nome del padre , si potrebbe dire, ma che ha disvelato ancora una volta la natura proprietaria del movimento.
E infatti, a fronte della concreta possibilità di risultare il partito vincente alle prossime elezioni, Casaleggio junior (nel suo ruolo di cadetto), senza alcun obbligo di sentire alcuno, ha aperto al mondo istituzionale più prossimo alla sua azienda: quello dei media, dell’informatica e della finanza. Questo ci dice la lista dei convenuti alla kermesse e gli oratori prescelti per rappresentare il futuro.
Nulla di nuovo, dunque. Il movimento cinque stelle sta tentando la stessa operazione che a Renzi è riuscita solo in parte: il ricambio della classe dirigente del paese e la sua sostituzione con nuovi player.
Un‘operazione di vertice che potrebbe risultare vincente, ma che ha ben poco a che vedere con la partecipazione dei cittadini alle scelte pubbliche.
Il copione è già scritto. Speriamo solo che il risultato sia migliore di quello finora visto nella città di Roma .
Roberto Polillo