Nelle primarie del PD il vincitore piaccia o non piaccia è stato Matteo Renzi.
A poco serve disquisire sul calo di votanti rispetto al passato e alla gloriosa epopea prodiana. Stiamo parlando, infatti di un tempo lontanissimo in termini politici. Un tempo che non c’è più, essendo il paese radicalmente diverso da allora. Il risultato è stato netto, la vittoria superiore alle aspettative e il vero sconfitto è il vecchio apparato di partito (Napolitano, Finocchiaro e lo stesso Prodi) che avevano puntato tutto su Orlando.
Buono invece il risultato di Emiliano: fa poco a livello di media nazionale ma ha un grandissimo successo nel Sud, un’area di grande debolezza per il partito e che potrebbe riservare invece grandi sorprese.
Renzi ha ora buon gioco a riprendere in mano un partito che ha votato compatto per lui e che non è più solo e soltanto il suo partito personale.
Il livello di partecipazione (oltre 1,8 milioni di cittadini), il numero di volontari coinvolti nei seggi, e la possibilità di scegliere tra candidati alternativi, è stata una grande espressione di democrazia che lo stesso Grillo ha dovuto riconoscere seppure attraverso una battuta infelice: meglio i click online: peccato che la differenza tra le modalità di votazione dei 5 stelle e quest’ultima è nell’ordine di poche decine di migliaia di webnauti, verso quasi due milioni di votanti in carne e ossa
La vittoria di Renzi rende ora più problematica la presenza della cosiddetta sinistra all’interno del partito.
Poco cambia per Emiliano, che può continuare a giocare la sua partita di outsider fuori e dentro il partito; cambia invece molto per Orlando, Cuperlo e gli altri che non hanno seguito Bersani, pure provenendo dalla stessa impostazione politica. E cambia anche per l’intera sinistra che si trova ancora più separata e divisa.
Come è infatti possibile che soggetti che all’incirca dicono le stesse cose abitino tre formazioni politiche diverse? Che differenza c’è tra quanto detto da Orlando sugli effetti del liberismo sulle diseguaglianze da quello che dice Bersani o Fratoianni? Nulla o quasi nulla. Sembra di udire il discorso che Fausto Bertinotti faceva ai tempi di Prodi e che portò alla sua uscita dal governo con tutto quello che ne è derivato
La questione allora è la seguente: perché oggi la sinistra porta avanti quelle parole d’ordine che prima si rimproveravano a Rifondazione comunista? E’ stato un errore di valutazione allora non avere dato ascolto a quanti dicevano che il capitalismo turbo avrebbe distrutto redditi, lavoro e coesione sociale o oggi semplicemente non si è in grado di sviluppare un discorso nuovo e soprattutto più convincente?
La sinistra sta ripercorrendo campi già arati nella speranza di recuperare i milioni di senza speranza che formano il grande partito dell’astensionismo cronico. Per questo popolo di delusi però servirebbe ben altro. Di sicuro non sono sufficienti le facce , seppur pulite, di uomini come D’Alema, Bersani o Epifani che da 30 anni hanno in mano il paese, il partito o il sindacato. Servirebbe un salto generazionale, e soprattutto un nuovo linguaggio, un brend scritto e tagliato a misura sui veri sconfitti dalla globalizzazione. Senza di questo la sinistra parla al presente con il linguaggio del passato e si condanna alla marginalità e alla perenne frammentazione.