“Ma allora qual è la sintesi? Possiamo dire che, secondo la vostra ricerca, i lavoratori metalmeccanici sono meno conflittuali di prima?” “No, direi piuttosto che sono meno antagonisti.” A rispondere così, alla domanda posta dal Diario del lavoro, è Daniele Marini, il sociologo che ha illustrato ieri, a Roma, un’indagine promossa da Federmeccanica e intitolata Lavoratori imprenditivi 4.0. Sottotitolo: Come cambiano i profili professionali nell’epoca della quarta rivoluzione industriale.
Alla presentazione, che è stata introdotta da Carlo Dell’Aringa, professore emerito di Economia Politica all’Università Cattolica di Milano e attualmente parlamentare Pd, hanno partecipato oltre a Marini, docente all’Università di Padova, Fabio Storchi, che di Federmeccanica è il presidente, e Fabio Astori, uno dei vicepresidenti. Ospite d’onore, il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti. Insomma, un panel di tutto rispetto, che mostra l’importanza attribuita da Federmeccanica a questa occasione.
Dal 2015, all’indagine sulla congiuntura economica nell’industria metalmeccanica, effettuata con cadenza trimestrale, Federmeccanica ha inteso affiancare, infatti, un’indagine annuale, di taglio sociologico, affidata all’istituto di ricerca Community Media Research, di cui Marini è direttore scientifico. Scopo di questa indagine è quello di “narrare i mutamenti in corso negli orientamenti dei lavoratori e nelle culture del lavoro”. Uno scopo funzionale, come vedremo più avanti, all’attuale linea di Federmeccanica che, per quanto riguarda i rapporti fra le imprese metalmeccaniche e i propri dipendenti, punta ad affiancare alle tradizionali relazioni con i sindacati la ricerca di relazioni dirette col personale.
Ma cominciamo dalla rilevazione presentata ieri, effettuata nell’autunno del 2016, e cioè prima della definizione dell’accordo per il nuovo contratto nazionale della categoria, avvenuta alla fine di novembre dell’anno scorso. Il cuore dell’indagine è indubbiamente la parte che riguarda i profili professionali dei lavoratori dipendenti oggi attivi nelle imprese.
“Le innovazioni tecnologiche – è scritto nella sintesi dell’indagine – hanno pervaso il modo di produrre e di realizzare i servizi, alterando anche l’organizzazione del lavoro.” Nell’attuale configurazione della categoria dei metalmeccanici, una metà abbondante svolge mansioni che possono essere definite come non strettamente esecutive (51,3%), e che impegnano i lavoratori stessi mentalmente più che fisicamente (53,3%). Quasi la metà di loro opera in team o comunque in relazione con altri colleghi (48,2%). Soprattutto, i quattro quinti (81,4%) sono alle prese con “strumentazioni di elevato contenuto tecnologico”. E va rilevato che questo è un dato assai più alto della media del campione complessivo (65,8%).
L’indagine, infatti, è stata svolta su un campione di 1.000 intervistati, appartenenti a diversi settori dell’industria e dei servizi. All’interno di questo universo, peraltro, l’industria metalmeccanica è stata volutamente sovrarappresentata, in modo tale da poter confrontare i risultati generali con quelli specificamente relativi alla categoria.
In base alle risposte ricevute, gli autori hanno ritenuto di poter tracciare cinque diversi profili professionali dei lavoratori dipendenti oggi concretamente attivi nelle aziende metalmeccaniche. Profili in base ai quali la distinzione classica fra tute blu e colletti bianchi risulterebbe sostanzialmente superata.
Ecco dunque i profili disegnati dai risultati dell’indagine.
Al livello di base, c’è il lavoratore definito come operativo. Si tratta di lavoratori che svolgono “un’opera prevalentemente esecutiva, con attrezzature tradizionali” e sostanzialmente privi di “autonomia decisionale”. Tali lavoratori costituiscono l’8,7% del campione.
Ha invece proporzioni quasi doppie del precedente (15,0%) il secondo gruppo, quello definito manuale upgrade. E’ il gruppo composto da quanti “pur svolgendo un lavoro esecutivo e manuale, dispongono di strumentazioni tecnologiche complesse e/o devono prendere decisioni in autonomia”. Questi lavoratori devono quindi essere dotati di quello che nella ricerca viene definito come “spirito imprenditivo”.
Ancora più consistente il terzo gruppo, pari al 23,9% del campione, quello cui appartiene il cosiddetto operatore esperto. Si tratta di un lavoratore che somma “alle capacità decisionali autonome” e “all’utilizzo di strumentazioni innovative”, l’opportunità di “lavorare all’interno di un gruppo o di relazionarsi con altri colleghi, sviluppando così ulteriori capacità professionali”.
Mentedopera: questo è il nome, indubbiamente brillante, dato dai ricercatori al gruppo più consistente, pari al 32,9%, del campione. Un nome che sembra sia stato messo lì proprio per significare che al posto della vecchia manodopera ci sono ora nuove figure di lavoratori nel cui agire la “dimensione intellettuale”, che è “prevalente”, può anche sposarsi con “abilità manuali”.
Infine, in cima alla scala della professionalità troviamo il gruppo definito skill 4.0, pari al 19,6% del totale. Si tratta del gruppo con le competenze professionali “più elevate”, poiché somma “autonomia decisionale, impegno cognitivo, utilizzo di tecnologie avanzate e lavoro in team”.
A questa nuova profilazione delle professionalità riscontrabili fra i metalmeccanici, spinta – come si è visto – verso l’alto, va probabilmente connesso l’elevato interesse mostrato dagli intervistati per la questione della loro “occupabilità”. Tanto che il 67,7% del campione ha dichiarato di condividere l’affermazione secondo cui “più che garantire un posto di lavoro, si deve investire sulle opportunità di crescita professionale e culturale” di un lavoratore. Interesse cui, è stato osservato nel corso della presentazione, il contratto firmato a fine 2016 offre una risposta con l’affermazione del diritto soggettivo dei dipendenti alla formazione professionale.
Significativa anche la parte della ricerca dedicata alla “partecipazione”, ovvero a quella che è stata definita come “via italiana al coinvolgimento”. Occorre sapere, infatti, che il caso italiano è, da vari punti di vista, diverso dal caso tedesco, in cui la partecipazione è assicurata dalla presenza di rappresentanti sindacali nei Consigli di sorveglianza, ovvero in un tipo di struttura che non è mai stata presente nel panorama industriale del nostro Paese.
Ciò detto, la prima osservazione che si impone è che, in questa indagine, il numero dei lavoratori che ritiene “opportuna” la collaborazione fra lavoratori e imprenditori, perché “va a vantaggio di tutti” (61,4%), è molto superiore a quello di chi la definisce “impossibile” perché “datori e lavoratori hanno interessi opposti” (4,4%).
La seconda osservazione è invece che, in assenza di strutture formali che assicurino la partecipazione “alla tedesca”, significative percentuali di lavoratori intervistati pensano che il loro “coinvolgimento” nella vita delle imprese possa essere perseguito da queste ultime o “ascoltando le loro idee sul lavoro” (38%), o “consultandoli periodicamente” rispetto alla definizione degli “obiettivi aziendali” (40,1%).
Da questo punto di vista, è degno di nota il fatto che, a questa propensione partecipativa dei lavoratori, corrisponda una situazione di fatto più avanzata di quanto comunemente non si creda. Infatti, il 66% degli intervistati ritiene che l’azienda in cui operano informi i lavoratori “in modo trasparente sulle scelte fatte”; il 61,6% di loro ritiene che l’azienda medesima tenga “in debita considerazione” le proposte dei lavoratori; mentre il 58,1% dichiara, addirittura, che l’azienda stessa “fa sentire i lavoratori partecipi delle scelte aziendali”.
Più tradizionali, invece, le risposte sugli aumenti retributivi; anche se, va detto, si registra una situazione in movimento. Il 66,1% dei metalmeccanici intervistati ritiene che gli aumenti salariali, derivanti dalla contrattazione aziendale acquisitiva, debbano tradursi in soldi che entrano nella busta paga, contro un 26,6% che è disposto a mettere insieme soldi e welfare aziendale. Va però osservato che, nella categoria, i “salarialisti” puri, disinteressati al welfare aziendale, sono in discesa. Infatti, nella precedente indagine di Community Media Research, realizzata nella primavera del 2016, i salarialisti assommavano al 72,6%.
Infine, un cenno al cosiddetto “clima aziendale”. Per il 65,2% degli intervistati è “positivo”, per il 23,7 è “incerto”, per l’11,1 è negativo.
In conclusione, da una prima lettura dei risultati dell’indagine si ricava l’impressione che il tradizionale pragmatismo dei metalmeccanici italiani abbia trovato nuovo alimento nelle conseguenze dei processi di innovazione tecnologica attualmente in corso. Infatti, rispetto alla parcellizzazione delle mansioni e alla massificazione dei ruoli tipiche dell’epoca del taylorismo-fordismo, l’industria 4.0 sembra richiedere, e quindi anche offrire, al lavoratore più autonomia e più responsabilità nell’espletamento di mansioni più complesse. Ciò può favorire un coinvolgimento del lavoratore nella vita aziendale non solo e non tanto maggiore, ma di qualità più alta.
Federmeccanica, per parte sua, si mostra intenzionata a cogliere questa opportunità, avendo ben compreso, così come sostenuto nel suo Manifesto delle Relazioni Industriali (giugno 2014), che le relazioni interne col proprio personale vanno coltivate, ma non possono sostituire la funzione delle relazioni sindacali.
Adesso che il contratto nazionale è stato rinnovato con l’intesa del 26 novembre 2016, la sfida che sta davanti a Federmeccanica, così come ai sindacati della maggiore categoria dell’industria, è quella di tradurre in pratica i punti principali del contratto stesso, dalla formazione professionale al welfare contrattuale. Il clima positivo rilevato dall’indagine potrà sicuramente aiutare sindacati e imprese in tale opera. Sarà però molto importante che le parti sociali si rendano conto che, in questa fase così delicata, sarebbe imperdonabile deludere i lavoratori rispetto alle loro attese. E, da questo punto di vista, un conto è capire che l’innovazione è la tendenza vincente con cui è necessario confrontarsi in termini costruttivi. Altra cosa sarebbe scambiare le tendenze per processi già compiuti, illudendosi che quell’insieme di fenomeni che va sotto il nome di Industria 4.0 abbia già informato di sé l’intero universo delle nostre imprese metalmeccaniche.