La Corte del Jersey, l’isola del Canale della Manica dove erano collocati i trust esteri dei Riva, ha disposto lo sblocco dei circa 1,3 miliardi di euro sequestrati alla famiglia proprietaria dell’Ilva nel 2013. Una pronuncia che di fatto dà il via libera al rientro della somma in Italia e al suo utilizzo per la bonifica ambientale dello stabilimento di Taranto.
A questo punto, manca soltanto il via libera del Tribunale di Losanna: l’udienza è fissata per il 31 maggio, se sarà positiva (dovrebbe trattarsi di un puro atto formale) segnerà il definitivo rientro in Italia del denaro attualmente depositato su un conto Ubs di Zurigo e destinato al risanamento ambientale dell’acciaieria tarantina, così come previsto dalla legge ribattezzata “salva Ilva”. E’ la somma che, secondo i pm di Milano, Adriano Riva, fratello del patron dell’Ilva Emilio (deceduto nel 2014), avrebbe distratto dalla casse dell’Ilva e da quelle della capogruppo Riva Fire e trasferita in alcuni trust dell’isola di Jersey, paradiso fiscale nel canale nella Manica. Il sequestro del denaro scattò nel 2013 nell’ambito dell’inchiesta che vede Adriano Riva indagato per bancarotta, truffa ai danni dello stato e trasferimento fittizio di beni.
Una volta che lo sblocco verrà confermato dalle autorità della Svizzera, i circa 1,3 miliardi di euro saranno messi a disposizione dei commissari straordinari dell’Ilva. Dopodiché l’intero importo sarà convertito in obbligazioni da lanciare sul mercato, con il ricavato che sarà utilizzato per la realizzazione dell’Autorizzazione Integrata Ambientale nello stabilimento siderurgico di Taranto.
Sul fronte penale, la decisione della Royal Court del Jersey apre la strada al patteggiamento per Adriano Riva e i suoi due nipoti Fabio e Nicola, accusati soltanto del reato di bancarotta. Le loro prime proposte di patteggiamento erano stata respinte dal gip Maria Vicidomini “per assoluta incongruità delle pene concordate a fronte dell’estrema gravità dei fatti contestati”. Un no, quello stabilito dal giudice milanese il 14 febbraio scorso, che avrebbe potuto ripercuotersi negativamente sull’intera procedura per lo sblocco e il rientro del denaro in Italia e dunque mettere a rischio la riqualificazione ambientale dell’Ilva e, di conseguenza, il destino dei lavoratori impiegati nell’acciaieria di Taranto.