Tempi duri per i top manager dell’industria dell’auto a stelle e strisce. Nei giorni scorsi, si erano diffuse varie voci relative a tagli che avrebbero potuto coinvolgere migliaia di posti di lavoro, in particolare alla General Motors e alla Ford. Ma adesso, mentre le dimensioni di questi possibili tagli vengono, almeno provvisoriamente, ridimensionate dalle miglia alle centinaia, di posti di lavoro ne è saltato uno di sicuro: quello di Mark Fields, ormai ex Amministratore delegato della Ford. Il cinquantaseienne Fields è stato infatti rimpiazzato da James Hackett, 62 anni.
A monte di questa sostituzione, scrivono in modo unanime diverse fonti di informazione, c’è l’insoddisfazione del Consiglio di amministrazione, e in particolare del suo Presidente William Ford jr., per i cattivi risultati conseguiti in Borsa dal titolo della Compagnia. Infatti, da quando – nel 2014 – Fields ha assunto la carica di Ceo a oggi, le azioni della Ford hanno perso il 37% del proprio valore.
Una perdita, questa, tanto più bruciante se considerata assieme al fatto che, in termini di capitalizzazione di Borsa, la Silicon Valley sta ormai surclassando Detroit anche per ciò che riguarda l’industria dell’auto. Stando a quanto riportato da David Shepardson e Laurence Frost in un ampio servizio pubblicato oggi dalla Reuters, venerdì scorso il valore della Tesla, compagnia produttrice di auto elettriche, ammontava a 51 miliardi di dollari contro i 43 della Ford. Una differenza, scrivono i due giornalisti, che mostra in modo drammatico quanto bassa sia “la fiducia degli investitori che i tradizionali costruttori di automobili siano in grado di affrontare un futuro in cui il software sarà più importante dei pistoni”.
A dire la verità, almeno a parole Fields aveva mostrato di essere un manager sensibile al tema dell’innovazione tecnologica che sta investendo in modo prepotente il mondo dell’auto. Non più tardi di un mese fa, aveva infatti dichiarato che “bisogna avere un piede ben piantato nel presente, ma l’altro deve essere già nel futuro”. E in realtà, i suoi piani contemplavano sostanziosi investimenti in innovazione. A metà del febbraio scorso, la Ford aveva infatti annunciato la decisione di investire nell’arco dei prossimi cinque anni un miliardo di dollari in Argo Al, una start-up di Pittsburg specializzata nello sviluppo dell’intelligenza artificiale. Un investimento, questo, finalizzato a far debuttare entro il 2021 il suo primo modello di auto a guida completamente autonoma.
Tuttavia, sempre secondo Shepardson e Frost, gli investitori hanno considerato con preoccupazione sia la debolezza dei risultati produttivi conseguiti dalla Ford nel primo trimestre, sia le previsioni relative ai profitti che potevano essere attesi nell’insieme dell’annata in corso. Par di capire, quindi, che la reputazione di Fields sia rimasta schiacciata fra la necessità di spendere molto per gli investimenti e la prospettiva di guadagnare poco con le vendite.
“Jim Hackett è l’uomo giusto per essere l’amministratore delegato che guiderà la Ford in questo periodo di trasformazione che si apre davanti all’industria dell’auto”, ha adesso dichiarato William Ford. Hackett ha alle spalle un’esperienza pluriennale (1994-2014) alla Steelcase, grande impresa produttrice di mobili per ufficio, di cui è stato anche amministratore delegato. E non è forse un caso che, per sostituire Fields, sia stato scelto un manager che, come lo stesso Hackett, dal marzo 2016 guida proprio la divisione della Ford che si occupa della cosiddetta Smart Mobility, ovvero di tutti gli aspetti innovativi del prodotto-auto, da quelli tecnologici (guida automatica) a quelli commerciali (sviluppo della possibilità di affittare auto anche per un singolo percorso invece di acquistarla).
Per quanto riguarda, invece, l’insieme dei dipendenti della Ford, i tagli previsti dovrebbero ridursi a 1.400 posti di lavoro. Comunque non pochi, specie se confrontati con i roboanti annunci che, per ciò che riguarda l’industria dell’auto, avevano accompagnato prima la campagna elettorale e poi l’elezione di Donald Trump alla Presidenza degli Stati Uniti. Dopo gli anni di Obama, che avevano coinciso con la ripresa del settore dopo la forte crisi che lo aveva colpito a partire dal 2008, lo slogan “America First”, prima l’America, non si è ancora tradotto in buone notizie per le grandi compagnie di Detroit.
Come notano ancora Shepardson e Frost, crescono invece i grattacapi per i top manager del settore. Da Sergio Marchionne, che con la Fca non è riuscito a trovare un partner con cui realizzare la crescita dimensionale necessaria a sostenere gli investimenti innovativi, a Mary Barra, della General Motors. Quest’ultima, nel marzo scorso, è sì riuscita a disfarsi della Opel e delle perdite ad essa connesse, ma adesso deve fronteggiare le pretese di investitori come l’hedge fund Greelight Capital che sembrano avere idee diverse da lei sul modo in cui gestire il capitale azionario della compagnia.
@Fernando_Liuzzi