Cerchiamo di andare a fondo, uscendo il più possibile dagli stereotipi.
A leggere i commenti politici o della stampa, l’incontro tra Trump e la Meloni, oscilla tra un trionfalismo “a prescindere” o un giudizio negativo anch’esso altrettanto “a prescindere”. Tutto in bianco o tutto in nero, senza mai cercare di capire cosa sia successo davvero e quali siano ora le conseguenze con cui si dovrà fare i conti.
Sono due i punti essenziali che invece sono fondamentali.
Il primo: Trump è un presidente che, al momento, appare del tutto inaffidabile. E non lo è certo solo soffermandosi sul suo inquietante carattere personale, sulle giravolte, sui cambi repentini di posizioni e di decisioni, sulle sue rabbie o fobie private o sulla violenza che egli cova contro altri Stati e altri esseri umani.
Il punto politico sta invece nella sua imprevedibilità. Ovvero se si sia in presenza di un semplice giocatore di poker che usa l’imprevedibilità come arma provocatoria e minacciosa al solo fine negoziale per poi giungere a ragionevoli compromessi; oppure invece con un intemerato sfascista, indifferente alle conseguenze che le sue azioni comporteranno per il resto del mondo in una pura logica di à la guerre comme à la guerre?
Tutti coloro che hanno responsabilità di Governo o anche di tipo economico per questo, hanno fatto bene, almeno in questa fase, ad essere prudenti e, prima di tutto a cercare di capire quale sia il gioco vero di Trump. E bene allora ha fatto fin qui l’Unione europea a non rispondere alle provocazioni, anche più becere, e a predisporre invece un quadro di azioni, compresi i dazi, cadenzandoli in tempi brevi, ma senza adottarli, nonostante che contro l’economia europea Trump abbia già imposto dazi sull’acciaio, l’alluminio, le auto e le sue componenti.
La Commissione europea ha preferito invece muoversi, in queste ultime settimane, varando quasi contemporaneamente due simmetriche iniziative precise.
Curioso che in Italia si parli solo di una di essa e non di entrambe.
La prima iniziativa è stata affidata al premier spagnolo Sanchez nei confronti della Cina. Affidata a Sanchez in quanto il leader più a sinistra tra tutti gli Stati europei.
Il mandato affidato a Sanchez è stato essenzialmente quello di un sondaggio nei confronti della Cina di Xi Jinping finalizzato a verificare le condizioni per una possibile ripresa dei rapporti economici e commerciali, tra Unione Europea e Cina, definendone il contesto generale di ordine mondiale e, ancora di più, su quale quadro di regole economiche realmente condivise.
Non è poco, visto che solo due anni fa, l’Ue aveva minacciato di usare il bazooka contro la Cina e i suoi comportamenti scorretti nelle relazioni commerciali, compresa la Via della Seta, intesa come pura strategia di espansione cinese verso i ricchi mercati europei senza però alcuna reciprocità.
L’incontro è andato bene, compreso il monito che Sanchez, a nome dell’Europa, ha marcato nei confronti del presidente cinese, ricordando che, come condizione stessa per una ripresa delle reciproche relazioni, sarebbe stato il rispetto della Cina della sovranità di Taiwan, a differenza di quanto Putin abbia fatto con l’Ucraina e Trump minacci di fare con la Groenlandia.
E proprio perché le risposte sono state positive, che l’Unione europea e la Cina hanno deciso la convocazione di un vertice per un rilancio concreto delle proprie relazioni economiche e commerciali, che si terrà nel prossimo luglio.
Contemporaneamente la Commissione ha affidato un altro sondaggio simmetrico nei confronti dell’America di Trump affidandola alla Meloni, in quanto la leader più di destra tra gli Stati principali europei.
Ma l’esito di questo incontro è stato però meno chiaro, più ambiguo e con molti aspetti anche inquietanti se non proprio pericolosi.
Ovviamente non era compito della Meloni andare alla Casa Bianca per trattare sui dazi e sulla loro dimensione, anche perché questa non è una materia disponibile a livello nazionale, bensì di competenza europea.
Il suo compito era più circoscritto ad una verifica su un’ ipotesi circa la formazione di un’area di libero scambio a tassi zero, sulla quale iniziare a sondare le intenzioni americane. Ma proprio su questo punto decisivo, Trump ha tenuto ben coperte le sue carte, senza aprire nemmeno un lontano spiraglio circa le proprie reali intenzioni, né tantomeno ha fatto, almeno come atto di buona volontà, quella di sospendere i dazi contro l’Europa su acciaio, alluminio, auto e componentistica.
Ma la nostra presidente ha preferito sorvolare, pur sapendo che questi dazi, già in atto, non colpiscono soltanto l’industria europea e quella della Germania in particolare (il vero obiettivo della strategia di Trump), ma anche quella italiana che alle sorti dell’industria automobilistica tedesca è legata a doppio filo, nella subfornitura e componentistica di qualità.
E qui si arriva al secondo punto essenziale del pasticcio politico contro l’Europa che scientemente la nostra presidente del Consiglio ha perseguito.
Il secondo punto infatti verte su una sua scelta precisa, quella di indicare come solo terreno comune quello di un indivisibile oltre che di un indistinto Occidente.
Dunque non Stati Uniti ed Europa, ma Occidente, ovvero come di una sola e unica area rispetto al resto del mondo.
Ma sul resto del mondo, gli Stati Uniti di Trump e l’Europa non hanno gli stessi interessi. Perché se la strategia di Trump è quella di una guerra aperta a colpi di dazi alla Cina e alla sua economia, l’Europa ha invece l’interesse del tutto opposto.
L’Europa ha bisogno di mercati aperti e non chiusi, perché’Europa è un’economia di trasformazione che può vivere solo potendo contare su un flusso certo e continuo di materie prime da trasformare in prodotti di alta qualità poi da esportare.
Infatti l’Europa è andata in crisi, in questi ultimi anni, proprio quando, con la guerra in Ucraina, questo flusso, come per i prodotti energetici, si è spezzato mandando, com’è avvenuto tutta l’Europa in recessione, a partire proprio dalla Germania.
E le materie prime in un’economia che è e sarà sempre più digitale, non stanno in Occidente ma stanno in Oriente.
Stanno in Cina, ovvero stanno proprio nella nemica più feroce della politica di Trump, che quelle materie prime non ha in quantità sufficiente e che per questo ora le vuole “rapinare” alla Groenlandia e all’Ucraina, ammantandole in questo caso, come debito di guerra.
Peraltro, detto per inciso, sottraendole all’Ucraina proprio alla vigilia della sua entrata nell’Unione europea e quindi, di fatto, sottraendole all’industria digitale dell’Europa stessa.
Ma nella sua cecità ideologica di tutto questo la Meloni ha fatto finto di non accorgersi apprestandosi invece a seguire Trump in una insensata guerra commerciale, non di Trump contro la Cina, ma dell’Occidente contro l’Oriente.
Una follia che fa anche finta di non vedere che il primo partner commerciale della Cina sia proprio la Germania e che isolando la Cina si colpisce proprio l’economia tedesca alla quale quella italiana è strettamente intrecciata.
Insomma un vero e proprio suicidio economico da lei sostenuta per esclusivi motivi di puro schieramento politico.
Ma anche una linea volutamente antieuropea proprio perché non si è fermata solo alla condivisione di un futuro assetto geopolitico, ma è andata anche più avanti e più in dettaglio.
Basti riflettere su almeno altri due gratuiti regali (peraltro sempre in cambio di niente), portati in dono dalla novella Regina Magia Meloni a Washington.
Il primo è la decisione di rifornirci in campo energetico del gas liquido americano. Com’è noto il faraonico programma di Trump, ha come uniche entrate non a debito, proprio la vendita all’estero del gas americano. Tranne che il gas americano finora ha pochi acquirenti in giro per il mondo, perché il suo prezzo è esorbitante rispetto a quello medio degli altri fornitori mondiali essendo più alto di circa il 40%. Perché allora questo regalo a carico della nostra economia e anche delle nostre prossime bollette di gas e di luce?
Una logica economica non c’è e nemmeno una parvenza di difesa degli interessi nazionali. C’è solo un inchino e la voglia di ingraziarsi le simpatie di Trump, a nostre spese.
C’è poi da augurarsi che si abbia almeno in testa un piano per i rigassifigatori e che nel frattempo, di questo ipotetico piano, abbiano almeno avvertito il loro sindaco di Piombino.
Ma il secondo è ancora molto più grave e riguarda la decisione del Governo italiano di aumentare al 2% le spese per la difesa, con un aumento dello 0.6%, quindi di circa undici miliardi, con l’impegno di acquisto diretto di fornitura presso l’arsenale militare americano.
In questo caso l’inchino è diventato prostrazione.
Ma una prostrazione pericolosissima, perché non si tratta solo di acquistare carrarmati, fucili o missili, ma ancora di più sistemi di difesa di cyber security, digitali e di satelliti spaziali che in America oggi sono in possesso di privati e non del Governo americano.
Si può comprendere la soddisfazione di Trump davanti al primo e unico Paese al mondo che gli ha fatto questo regalo. Ma pur sorvolando cosa abbia significato per gli ucraini doversi affidare ai satelliti di Musk e alle sue contorte bizzarrie di spegnimento o di riaccensione, questo è stato anche un regalo che non solo mette in pericolo la sovranità del nostro Paese, ma che va, volontariamente e scientemente, contro il programma di difesa e di deterrenza europeo.
Perché in Europa oggi la correzione profonda del progetto Rearm, che pure tanto aveva fatto discutere, è evoluto in una nuova proposta avanzata dalla presidenza di turno della Polonia sulla base di un progetto commissionato al centro Brughel, denominato EDM (European Defense Mechanism), che sarà sottoposta all’approvazione del prossimo Consiglio europeo.
La Meloni, per restare nel gergo, ha tirato da Washington proprio un siluro diretto non solo a questa proposta, ma anche alla possibilità di un sistema di difesa comune europeo.
Senza entrare nei dettagli tecnici, basti osservare i due cardini fondamentali della nuova proposta europea. Il primo consiste nella creazione di uno strumento apposito, l’EDM, che come per il Next Generation si finanzi innanzitutto sul mercato dei capitali e non direttamente sui singoli bilanci nazionali, per costituire un fondo da utilizzare per lo sviluppo dell’industria militare, digitale e cibernetica europea e non quindi per finanziare quella americana.
Ed è grave che tutto questo avvenga nel silenzio assoluto, dei mezzi di informazione e purtroppo anche delle opposizioni,politiche e parlamentari.
Come se non bastasse la Meloni sta cercando anche di fare una blitz Krieg, per anticipare e bruciare i tempi e per bruciare così il lavoro europeo. Si potrebbe dire con l’obiettivo di minarne i ponti.
Altro che pontiera.
Per questo il fervore di questi giorni.
Per questo dopo la visita alla Casa Bianca, l’incontro con Vance e poi l’invito di Trump a Roma per organizzare un vertice europeo già a giugno, in coincidenza del vertice della Nato.
Giugno vuol dire lavorare per bruciare così il vertice di luglio tra l’Ue e la Cina e vuol dire anche tentare di svuotare o far saltare la stessa proposta di una difesa comune europea.
Vuol dire, in altre parole, voler giocare contro ogni ipotesi di rafforzamento del ruolo e dell’autonomia europea. In totale, fredda e assoluta coerenza con l’attacco recentemente sferrato al Manifesto di Ventotene, che tutto è stato tranne che un incidente di parol dal sen sfuggite, quanto un tassello di un mosaico in costruzione, di cui però ora il disegno è diventato, purtroppo, sempre più infido e pericoloso anche se ineluttabilmente più chiaro.
Walter Cerfeda