Il mondo ha trattenuto il respiro quando è stato annunciata la morte di Papa Francesco. Non se lo aspettava nessuno che ci lasciasse all’improvviso. L’ha fatto in punta di piedi. Ci aveva allarmati, quasi allertati ma poi rassicurati con le sue sempre più frequenti apparizioni in pubblico. Fino a Pasqua, quando ci ha emozionato con uno dei discorsi più forti contro coloro che stanno alimentando un mondo incattivito, ha fatto il bagno che preferiva, quello di folla, attraversando una piazza gremitissima e ha voluto impartire di persona, con gran sforzo della mano destra, l’indulgenza plenaria a presenti e anche assenti, ma collegati da ogni parte del mondo.
Una uscita di scena che lascia sgomenti credenti e non credenti. Ma anche unanimemente convinti di essere eredi di messaggi di vita indimenticabili, su tanti ambiti della realtà umana. Non capita spesso che un Papa morendo, al di là dell’empatia che in genere si crea tra l’individuo e lui, lasci un diffuso senso profondo di intimità, di rispetto, di assonanza culturale e oserei dire politica e per chi crede, religiosa. A lui, è riuscito nella maniera più semplice e convincente, più popolare e colta nello stesso tempo. Nessun Pontefice, prima di lui, ha raccolto con regolarità tante presenze in Piazza S. Pietro, ogni domenica per l’Angelus.
Dodici anni di pontificato non sono tanti, ma la curiosità e l’adesione alle sue parole sono state costanti, senza cadute di tensione. Esse assicurano alle sue scelte una forza che non potrà essere scalfita dai suoi successori. Ce ne sono tante e su vari fronti; alcune sono vere e proprie pietre miliari nella vita della Chiesa cattolica e della vita sociale e politica delle popolazioni di tutto il mondo.
È stato un vero progressista, anche se non rivoluzionario. Direi profondamente giovanneo, anche se non ha smentito nessun dei predecessori. Di certo è quello che più di tutti ha rianimato l’applicazione del Concilio Vaticano II. Da buon gesuita ha sviluppato una pedagogia della sua visione con grande efficacia: la denuncia della “società dello spreco” con la Laudato si’, prelude ad uno sviluppo non più soltanto consumista, ma neanche di “decrescita felice”; l’avvertimento della “guerra mondiale a pezzi” considerato a lungo esagerato, si rivela giorno dopo giorno drammaticamente profetico; il rifiuto della rigidità con il suo “chi sono io per giudicare?” di fronte a chi chiede comprensione cristiana, fosse anche gay; la condanna senza se e senza ma dei preti pedofili ricordando che “nella rabbia della gente, c’è l’ira di Dio” e in quei comportamenti vede l’interpretazione “scandalosa” di un potere malato; l’apertura ad un ruolo più attivo delle donne nella Chiesa, “più coraggiose degli uomini…e sanno come proteggere la vita” che può portare al diaconato anche per loro.
Anche sulle questioni del lavoro non ha avuto peli sulla lingua. “Il lavoro è sacro, dà dignità all’uomo. Chi lo toglie o lo sfrutta commette un peccato gravissimo” e più avanti “contratti a termine, lavori così brevi che impediscono di progettare la vita, bassi salari e basse tutele sembrano i muri di un labirinto dal quale non si riesce a trovare una via d’uscita” (alle Acli di Roma, 2023). Guardando al futuro, è subito intervenuto sulla questione dell’uso dell’Intelligenza Artificiale chiedendo “uno sviluppo etico degli algoritmi in cui siano i valori ad orientare i percorsi delle nuove tecnologie…e deve essere uno strumento nelle mani dell’uomo” (Conferenza Internazionale della Fondazione Centesimus Annus, 2024). Ricevette quasi tutte le organizzazioni del mondo del lavoro, Confindustria, Confartigianato, Coltivatori Diretti, Confcooperative e quando la CISL e poi la CGIL chiesero di essere ricevute con folte rappresentanze, ripetè insistentemente che “la povertà non si combatte con l’assistenzialismo…il vero obiettivo dovrebbe essere di consentire loro una vita degna mediante il lavoro”.
Se su questi fronti, ciò che ha compiuto ha lasciato il segno, sull’ecumenismo le sue aspettative sono state deluse. Ha lavorato tantissimo per aprire spazi di confronto e acquisire impegni concreti per un avvicinamento delle grandi religioni monoteiste. Ma in un mondo secolarizzato e religioni sempre meno praticate, stiamo assistendo a scelte politiche anche belliciste con i capi spirituali ebraici, mussulmani ed ortodossi che non si stanno battendo come ha martellato sin dal primo momento Papa Bergoglio, “Basta guerra, disarmo generalizzato”. Nella sua ultima biografia “Spera” ha citato Bertolt Brecht: “tra i vinti la povera gente faceva la fame/ fra i vincitori faceva la fame la povera gente egualmente”. Ne era convinto: con la guerra perdono tutti. Ma è rimasto solo a gridarlo al mondo. Così l’ecumenismo è entrato in un cono d’ombra e sarà una eredità pesante per il suo successore.
È un Papa che ha osato sporcarsi le mani con le piaghe della nostra società piena di contraddizioni e disuguaglianze. Dove IO sta diventando l’unico metro di valutazione rispetto al NOI. Dove la libertà individuale è sempre più importante di quella collettiva. Dove la solidarietà viene scalzata sistematicamente dalle convenienze individuali. Gli dobbiamo essere grati per questo impegno sistematico quasi controcorrente, per aver dimostrato che la Chiesa non è opportunista, che non si nasconde dietro vuote buone parole, che non è neanche integrista. Sempre da “Spera”: “non ai più simili, non al mio gruppo, ma ai più piccoli, affamati, assetati, nudi….perché non c’è un prima per i cristiani se non un prima gli ultimi”.
È stato un maestro di umiltà, ha mandato in soffitta il lusso vaticano, ha parlato a tutti sempre, ha tolto gli orpelli della maestà e ha esaltato il valore della spiritualità. Si è guadagnato sul campo l’affetto incondizionato della gente, il rispetto anche nel dissenso dei potenti, la fedeltà rivitalizzata dei credenti. È venuto dalla fine del mondo, ma ha conquistato menti e cuore di tutto il mondo.
Raffaele Morese