Maurizio Ricci su Il diario del lavoro ci ha rappresentato i reali pericoli della strategia offensiva di Trump, sempre che si voglia parlare di strategia riferendosi alla nebulosa che fuoriesce dalla Stanza ovale, fatta più di improvvisazione che di studiata politica. Il punto è che con questi atti contraddittori dobbiamo fare i conti per cercare di minimizzare i costi che certamente arriveranno copiosi. La risposta migliore ai dazi americani non è certo quella dei controdazi, inutili, probabilmente dannosi perché amplificherebbero i guasti.
L’unica vera risposta dovrebbe essere un’offensiva commerciale che annulli le perdite causate dalla Casa Bianca. Offensiva che dovrebbe avere due caratteristiche per sperare di risultare efficiente. La prima è quella di essere corale, dell’intera Europa, perché i singoli stati non possono permettersi di sfidare gli Stati Uniti o la Cina. La seconda è di essere sorretta da una effettiva politica industriale, che indirizzi gli investimenti e in generale gli sforzi in quei settori nei quali si possa sperare di vincere.
Non sono obiettivi facili da raggiungere. I sovranismi imperanti sono nemici giurati della sovranazionalità, anche quando non lo affermano. L’ideale europeo ha ripreso forza dopo il 21 gennaio, con il riavvicinamento della Gran Bretagna all’Unione europea, così esplicito da far dimenticare i veleni della Brexit. Ma non sufficiente a spingere l’Europa, in tempi di congiuntura globale, a portare avanti gli ideali federalisti.
E anche l’elaborazione di una effettiva politica industriale presenta numerose difficoltà. Gli interessi nazionali restano molto forti e metterli da parte appare un’impresa difficile, se non proibitiva. Servirebbero figure istituzionali, che al momento non vediamo, in grado di esercitare un effettivo potere. Se poi limitiamo l’analisi al nostro paese, il risultato è ancora più sconfortante.
Anche perché una effettiva politica industriale può vivere solo grazie a un preventivo patto sociale che ridisegni gli equilibri generali del paese, obiettivo al momento assolutamente privo di concretezza. Non ci sono infatti, in Italia, le condizioni per raggiungerlo. E non ci sono nemmeno le volontà. Un grande patto sociale non lo vuole certamente questo governo, che, al di là delle affermazioni da microfono, considera le parti sociali come concorrenti nell’esercizio del potere. Non è un caso che anche recentemente Meloni, prima di affrontare scelte difficili, non abbia convocato i sindacati.
E, del resto, le parti sociali non sembrano credere molto di più nell’ipotesi di un patto. Probabilmente non ci crede Confindustria, rientrata nel cono d’ombra dal quale sembrava voler uscire. Forse alla presidenza degli industriali piacerebbe un più incisivo protagonismo, ma, al momento, non appare in grado di esprimere più che una limitata volontà verbale, priva di reale efficacia.
La Cgil è concentrata sugli appuntamenti referendari, per i quali ha puntato tutte le proprie risorse, economiche e umane, e non esiste al momento un altro progetto che possa coinvolgere la confederazione. E d’altronde Maurizio Landini non è mai stato interessato all’ipotesi di un patto sociale. Tutti i tentativi, fatti da più soggetti dopo l’esperienza del Patto della fabbrica del 2018, si sono arenati proprio per l’assenza, in casa Cgil, della volontà di procedere in quella direzione.
Ci sarebbe la Cisl, pronta a fare il passo giusto per cogliere un obiettivo mai abbandonato. Daniela Fumarola, nel discorso tenuto in occasione della presentazione della Fondazione Carniti, che trovate integralmente su Il diario del lavoro, lo ha ribadito con forza. Ha però anche aggiunto che la Cisl non ha alcuna intenzione di perdere tempo con chi non ha la stessa determinazione in merito. E che l’esempio da seguire debba essere quello del Patto di San Valentino, del febbraio 1984, la dice lunga, perché quello fu una grande vittoria della Cisl, che indebolì di fatto il sindacato nel suo insieme.
Se all’orizzonte non compare alcun patto sociale in Italia e in Europa, ci rimangono allora solo i dazi di Trump?
Massimo Mascini