La discussione sulla proposta di legge per la “Partecipazione” sembra contenere qualche equivoco. Spesso si parla di partecipazione e cogestione come fossero la stessa cosa. Di partecipazione azionaria e redistribuzione degli utili come fossero il fattore necessario per superare una visione “tossica” del conflitto sociale. Come se la diversità di interessi e priorità tra lavoro e impresa fosse un retaggio dell’800. Come se le classi sociali non esistessero più e il principio di “eguaglianza” fra singoli cittadini avesse superato le condizioni di divisione del lavoro. Come se bastasse il richiamo costituzionale e il ricorso alla legge per risolvere tutti i contenziosi. Ma la realtà delle cose è più complessa e meno raffazzonata.
L’autore di questa breve nota ha contribuito (assieme a molti altri dirigenti sindacali e di impresa) a realizzare negli anni 90 una delle esperienze più avanzate d’Italia sul tema della partecipazione contrattata (Protocollo Electrolux-Zanussi sottoscritto dalle segreterie nazionali di Fim, Fiom, Uilm), partendo dalla realtà della produzione industriale manifatturiera e dalla specificità delle relazioni sindacali italiane.
Quali erano gli obiettivi delle parti che si sono composti nel sistema di partecipazione del Gruppo Electrolux Italia?
Dal punto di vista dell’impresa gli obiettivi principali erano l’aumento della produttività, la riduzione dei difetti di fabbricazione e anche, certo, la riduzione del conflitto sindacale. Non il conflitto in sé, quanto quello che si manifestava prima di aver misurato la reale distanza esistente tra le parti su questo o quel tema: lo sciopero per ottenere un tavolo di confronto.
Dal punto di vista sindacale la partecipazione era una via di maggiore responsabilizzazione e valorizzazione del lavoro: il coinvolgimento attivo delle competenze dei singoli piuttosto che non la loro limitazione passiva nei confronti delle macchine e degli obiettivi quantitativi delle catene di montaggio. E anche un rapporto più equilibrato e meno diseguale tra valore del lavoro e retribuzione.
Per noi la partecipazione cominciava dal basso, non era un Olimpo in cui solo i vertici (aziendali e sindacali) si confrontavano sulle strategie e si consultavano sulle criticità. C’era anche questo, certo! Ma il vertice poggiava su una cultura diffusa tra i delegati delle RSU e i lavoratori, non era una bandierina a prescindere e neppure una sorta di “privilegio” per pochi.
Anche perché in Italia esiste il canale unico di rappresentanza e non i rappresentanti dei lavoratori da un lato e quelli degli iscritti al sindacato dall’altro, come in molti Paesi del Nord Europa.
Nei diversi stabilimenti, quando c’era un problema tecnico, o di sicurezza, o di inefficienza, o di violazione dei diritti e delle norme contrattuali o, addirittura, di qualità del cibo delle mense, i membri delle RSU avevano commissioni miste e paritetiche cui rivolgersi per risolverlo (prima di dichiarare uno sciopero e bloccare la produzione). Quando le soluzioni adottate in un reparto o in uno stabilimento si dimostravano valide si potevano estendere, su richiesta, a tutti gli stabilimenti del Gruppo tramite un accordo sindacale.
Il sistema partecipativo Electrolux non vietava in nessun modo che si attuassero scelte conflittuali nel caso in cui il problema non fosse stato affrontato o risolto, inibiva invece il conflitto a priori e la violazione delle regole partecipative. Su questo punto una delle maggiori innovazioni del Codice Electrolux prevedeva la costituzione di una commissione mista, paritetica (3 + 3), allora presieduta dal giuslavorista Prof. Luigi Mariucci, che esaminava i casi di violazione delle regole (eventualmente denunciati da una delle parti) e prendeva provvedimenti solo se approvati all’unanimità.
Nell’esperienza Electrolux non c’era nessuna partecipazione ai consigli di amministrazione, sostanzialmente per due motivi: uno più oggettivo, uno più specifico.
Il primo: nei consigli di amministrazione è bene vi siano rappresentanti dei finanziatori dell’impresa (del “capitale”) e non è obiettivamente giusto mescolare competenze tra chi rappresenta i bisogni dei dipendenti (del “lavoro”) e chi “rischia” risorse economiche proprie. E nemmeno il contrario, immaginando che le dinamiche retributive del lavoro siano decise da un CdA perché legate “automaticamente” agli andamenti dei profitti dell’impresa.
A pensarci bene, nemmeno nelle imprese cooperative esiste questa commistione di competenze e ruoli.
Il motivo più specifico dipende dal fatto, riprendendo la questione del “canale unico di rappresentanza” vigente in Italia, che non è immaginabile siano dei rappresentanti sindacali a “codecidere”, in sedi ristrette e riservate, fuori dalle normali forme negoziali, le dinamiche occupazionali e retributive.
Tutto il resto si può fare applicando i diritti di informazione e i confronti (con netta divisione di ruoli e competenze) previsti dal sistema contrattuale vigente. Il Consiglio di Sorveglianza Electrolux (cui partecipavano dirigenti del Gruppo, 3 segretari nazionali e 3 rappresentanti del coordinamento nazionale RSU) svolgeva funzioni di informazione e consultazione.
Da qui l’ultima considerazione.
Nelle dinamiche contrattuali italiane dagli anni 60 in poi, non è mai accaduto che le innovazioni nel sistema delle relazioni sindacali e del lavoro vengano prodotte per legge. È sempre stato il contrario: le innovazioni nei rapporti di lavoro sono derivate da momenti di contrattazione che, se efficace e diffusa, ha prodotto strumenti legislativi di estensione “erga omnes”, trasformando quei risultati in “diritti universali” del lavoro. Le esperienze contrattuali sulle forme di partecipazione del lavoro sono ancora estremamente rare sia nel sistema produttivo che, ancor di più, in quello dei servizi. Gli attuali rapporti fra le Confederazioni Cgil Cisl e Uil, le loro difficolta a trovare elaborazioni e proposte condivise allontanano la possibilità di azione sindacale da recepire in legge. È pertanto illogico immaginare che sia una legge a determinare obblighi di attuazione, indipendentemente dalle dinamiche negoziali.
Un protocollo fra le parti (imprese e sindacati) che favorisse la sperimentazione sarebbe molto più utile di una legge più evocativa che vincolante.
Gaetano Sateriale