Il Tribunale di Busto Arsizio ha pronunciato un’interessante sentenza in materia di discriminazione collettiva sul lavoro, condannando la società Betty Blue S.p.A. per dichiarazioni discriminatorie rese dalla sua amministratrice delegata durante un evento pubblico. Il giudice del lavoro, dott.ssa Francesca La Russa, ha riconosciuto il carattere discriminatorio delle affermazioni della dirigente, con cui veniva esclusa dalla possibilità di occupare posizioni aziendali di rilievo una parte della popolazione femminile basandosi su criteri di età, status familiare e genere.
Il 4 maggio 2022, a Milano, si è tenuto l’evento “Donne e Moda”, organizzato dalla società di consulenza Pricewaterhouse Cooper e dal quotidiano “Il Foglio”. L’incontro, trasmesso in diretta streaming, ha visto la partecipazione di figure di spicco della politica, dell’industria della moda e del giornalismo, tra cui il Ministro per la famiglia e le pari opportunità e la stilista Elisabetta Franchi, amministratrice delegata della Betty Blue S.p.A.
Durante il suo intervento, Elisabetta Franchi ha dichiarato apertamente di non impiegare nelle posizioni di rilievo della sua azienda donne di età inferiore ai 40 anni, ritenendo che, se giovani, avrebbero potuto avere figli, sposarsi e dunque non garantire una continuità lavorativa senza interruzioni. Ha poi proseguito affermando che preferiva assumere per ruoli apicali donne che avessero già “fatto i quattro giri di boa”, ovvero sposarsi, avere figli, separarsi e quindi essere totalmente dedite al lavoro senza impegni familiari che potessero sottrarre tempo all’azienda.
Le dichiarazioni hanno generato un’onda di indignazione nel mondo politico e sindacale. L’Associazione Nazionale Lotta alle Discriminazioni (A.N.Lo.D.) ha ritenuto tali affermazioni gravemente discriminatorie, avviando un’azione legale per far accertare la loro natura illecita e la violazione delle normative nazionali ed europee in materia di parità di trattamento sul lavoro.
Il Tribunale ha riconosciuto che le affermazioni pubbliche della dirigente della Betty Blue S.p.A. costituiscono una discriminazione collettiva indiretta, in violazione dei principi fondamentali di uguaglianza e parità di trattamento sanciti dalla Costituzione italiana (artt. 2, 3, 37 e 41), dal d.lgs. n. 216/2003 e dal Codice delle Pari Opportunità (d.lgs. n. 198/2006). Le dichiarazioni dell’amministratrice delegata hanno creato un effetto dissuasivo per le lavoratrici giovani, scoraggiandole dal candidarsi per posizioni di responsabilità. La discriminazione basata su età e status familiare costituisce una violazione delle norme nazionali ed europee sulla parità di trattamento in ambito lavorativo. La libertà di espressione garantita dall’art. 21 della Costituzione non può essere esercitata in modo da ledere altri diritti costituzionalmente garantiti, come la parità di genere e l’accesso equo al lavoro.
Il Tribunale ha condannato la Betty Blue S.p.A. a risarcire l’A.N.Lo.D. con una somma di 5.000 euro a titolo di danno non patrimoniale, pubblicare a proprie spese la sentenza su almeno un quotidiano nazionale, adottare un piano aziendale di rimozione delle discriminazioni, includendo corsi di formazione obbligatori per i dipendenti sulle politiche di uguaglianza e pari opportunità, e pagare una penale di 100 euro al giorno per ogni ritardo nell’attuazione delle misure correttive imposte.
Questa sentenza contribuisce in modo significativo alla lotta contro le discriminazioni sul lavoro, affermando con forza il principio che ogni selezione e avanzamento di carriera deve avvenire senza pregiudizi di genere, età o status familiare. La decisione del Tribunale di Busto Arsizio si inserisce in un quadro giuridico sempre più attento alla tutela dei diritti dei lavoratori e lavoratrici, e costituisce un precedente importante per il contrasto alle politiche discriminatorie in ambito aziendale.
Ciò che colpisce maggiormente in questa vicenda è che le dichiarazioni discriminatorie provengano proprio da una donna, che occupa un ruolo apicale in un settore storicamente difficile per l’emancipazione femminile. Elisabetta Franchi, pur essendo un’imprenditrice di successo, dimostra di avere una concezione antiquata del ruolo della donna nel mondo del lavoro, ancorata a stereotipi ottocenteschi e ormai superati. L’idea che una donna sia professionalmente valida solo dopo aver adempiuto a certi obblighi familiari non solo è anacronistica, ma rischia di rafforzare pregiudizi dannosi che ostacolano l’accesso delle donne alle posizioni di vertice. Questa visione non tiene conto delle profonde trasformazioni sociali e del diritto all’uguaglianza sancito dalle leggi moderne, evidenziando quanto ancora ci sia da fare per abbattere barriere culturali e strutturali che limitano la piena realizzazione professionale delle donne.
avv. Biagio Cartillone