Viene in testa un vecchio slogan di Forza Italia, “meno male che Silvio c’è”. Ma oggi non è Berlusconi l’oggetto dello slogan, bensì il Papa: meno male che c’è Bergoglio allora, che è intervenuto energicamente contro le deportazioni dei migranti negli Stati uniti. E dunque, anche se lui non li ha citati, anche contro tutti quei Paesi che rispediscono questi stranieri disperati nei loro paesi d’origine, oppure – è il caso italiano – cercano di rinchiuderli in centri di detenzione o di rimpatrio in Albania. Senza peraltro riuscirci grazie ai ripetuti interventi della tanto odiata magistratura, italiana ed europea.
Peccato che il Papa possa solo parlare e non agire, al massimo può tentare una moral suasion sapendo benissimo però che la morale non fa parte della “cultura” di coloro che governano più di mezzo mondo, a cominciare ovviamente dal nuovo Presidente americano Donald Trump e a seguire con la nostra Giorgia Meloni. La quale non sta vivendo un periodo tranquillo, non appare più come quella donna forte e coraggiosa che affronta i problemi del governo mettendoci la faccia e sfidando i suoi oppositori e alcuni suoi alleati senza “farsi ricattare”. Ormai la premier appare, anzi non appare proprio visto che si rifiuta di presentarsi in Parlamento, come una donna debole, un’isola nella corrente avrebbe scritto Ernest Hemingway. Dove la porterà questa corrente è ancora presto per prevederlo, tuttavia è evidente che la sua macchina da guerra sta perdendo colpi anche se al momento una vera alternativa di governo non si vede.
Ma più che il Papa e la battaglia delle opposizioni, quel che preoccupa e fa sballottare Meloni è la sua stessa maggioranza. Ormai ogni giorno ce n’è una, ogni giorno viene fuori una problema che la infastidisce e la mette nei guai. Il caso Almasri per esempio è quello più clamoroso, visto che liberare e rimandare in patria su un aereo di Stato un torturatore e assassino di migranti (cioè di persone) non è un fatto che possa essere archiviato con un’alzata di spalle in nome dell’interesse nazionale. Ma non basta, il problema, anzi i problemi, per il suo governo nascono proprio nel suo governo. I due ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi, per esempio, sono furibondi per essere stati mandati in Parlamento allo sbando ad assumersi una responsabilità che sarebbe toccata alla premier. Oltretutto, il Guardasigilli è stato anche spedito allo scontro contro la Corte penale internazionale, ma poi Meloni ci ha ripensato e lui è rimasto solo a combattere una battaglia perduta in partenza. Adesso dovrà anche difendersi dalla mozione di sfiducia presentata dalle opposizioni, che ovviamente non passerà ma che contribuirà vie più a innervosire il ministro e di conseguenza pure la premier. La quale ha anche altri guai seri da fronteggiare, dalla ministra Daniela Santanché che è stata rinviata a giudizio e forse lo sarà anche un’altra volta e di cui le opposizioni chiedono le dimissioni, avendo presentato una mozione di sfiducia, alla probabile condanna del sottosegretario Andrea Delmastro per rivelazioni di atti d’ufficio, fino alla continua opera di logoramento messa in atto dal suo vicepremier Matteo Salvini. Che tanto per non perdere l’ennesima occasione si è precipitato in Israele per omaggiare il premier Netanyahu, colpito da un mandato di cattura internazionale e ferreo alleato di Trump e del suo progetto di trasformare la striscia di Gaza in un lussuoso resort per turisti cacciando milioni di palestinesi non si sa dove. D’altra parte, il capo della Lega ha un bisogno vitale di “farsi vedere in giro”, la sua crisi di consenso nell’opinione pubblica e pure nel suo partito è palese: più si muove, più infastidisce la “sua” premier e più pensa di poter risalire a galla.
Come se non bastasse tutto questo, c’è da registrare lo stallo delle riforme volute dal governo e che avrebbero dovuto essere la sua forza motrice. L’autonomia differenziata, bandiera leghista, è stata fatta a pezzetti dalla Corte costituzionale, il premierato giace inerte in qualche cassetto del Parlamento, resta in piedi la separazione delle carriere che però provoca quotidiani e sanguinosi scontri con la magistratura. Per non parlare della collocazione internazionale dell’Italia, stretta nella morsa tra l’America trumpian-muskiana e l’Europa.
Meloni non sa più che fare, le servirebbe un’idea, un qualcosa che costringa gli alleati a rimettersi in riga. E c’è un solo modo per farlo, rischioso ma anche potenzialmente redditizio: le elezioni anticipate. In questo caso, se i suoi Fratelli d’Italia riuscissero a sfondare quel 30 per cento che attualmente i sondaggi gli attribuiscono e i suoi alleati restassero sotto il 10, allora la premier potrebbe ricominciare una nuova avventura di governo diventando la leader indiscussa della destra. Ma il voto è sempre una strada che non si sa dove porta, anche perché su quella strada camminerebbero pure le opposizioni che potrebbero pure riservarci qualche sorpresa. Chissà se Giorgia avrà il coraggio di imboccarla?
Riccardo Barenghi