Elogio del pessimismo. Io sono un ottimista, per me il bicchiere è sempre mezzo pieno. E non potrebbe essere altrimenti, perché nel mio piccolo sono un imprenditore e gli imprenditori, si sa, sono ottimisti per definizione, altrimenti non investirebbero i loro soldi. Ma anche da ottimista credo che forse non sia sbagliato usare un po’ di pessimismo. Perché è bello guardare al mondo con ottimismo, ma può essere anche pericoloso. Il peggio può sempre accadere e se quando arriva non sei pronto, sei inerme, rischi di soccombere. Quindi, elogio del pessimismo.
E guardiamolo questo peggio, quanto meno nelle nostre cose. Per esempio, per quanto si riferisce al rapporto tra sindacato e governo. Il gruppo che guida questo esecutivo viene dalla destra sociale e dovrebbe conoscere bene le istanze degli ultimi, dei più deboli. Il punto è che non ci presta più tanta attenzione. Per il governo il sindacato, almeno buona parte del sindacato, è un nemico, diciamo un avversario ed è opportuno quanto meno spuntargli le unghie. Nessuna meraviglia, dunque, se i rapporti dovessero peggiorare, è nell’ordine delle cose. Può accadere ed è opportuno prepararsi al peggio.
Un altro capitolo difficile per il mondo del lavoro è quello dei rapporti al vertice del sindacato. Le cose vanno male, ma potrebbero andare anche peggio. E comunque il pericolo non sarà meno forte se non si fa nulla per cercare di ripararli, i rapporti, quanto meno riportarli a una convivenza civile. Perché se non interviene un po’ di attenzione, c’è il rischio che le divisioni che al momento attengono ai vertici delle confederazioni scendano per i rami e arrivino alle federazioni di categoria. È già successo e l’immagine dei lavoratori divisi in fabbrica tra amici e nemici fa ancora paura.
E se ciò accadesse ne andrebbe di mezzo anche il sistema della contrattazione. Che regge al momento, anche grazie al fatto che non ci sono divisioni tra le federazioni di categoria, ma potrebbe cominciare a trovare difficoltà. Il recente esempio dell’accordo per il rinnovo del contratto degli statali, approvato da una percentuale appena sopra il 50% degli eventi diritto, fa un po’ paura. È il prototipo di quanto potrebbe accadere in un prossimo futuro. Anche in questo caso è dovere di tutti raffigurarsi quanto di peggio potrebbe capitare e comportarci di conseguenza. Senza grandi allarmi, ma nella piena consapevolezza dei pericoli che il mondo del lavoro preso nel suo insieme sta correndo o rischia di correre.
E arriviamo all’ipotesi di un nuovo patto sociale. Gaetano Sateriale nel suo ultimo blog sul Diario del lavoro ci ha parlato della “necessità urgente di una nuova collaborazione fra le principali forze sociali”, riprendendo le parole del Presidente della Repubblica che giustamente ha esortato le forze vive del paese a fare uno sforzo per riprendere un dialogo tra di loro. È uno degli obiettivi del nostro giornale, anche troppo a lungo abbiamo sottolineato la necessità di riprendere i contatti. Abbiamo sperato che qualcosa si avviasse con la nuova presidenza di Confindustria e i primi passi in effetti sono stati compiuti. Con l’incidente della nuova tentata regolamentazione della rappresentanza si è andati anche un po’ oltre. Ma poi tutto si è fermato. A questo punto il pessimista penserebbe che non sia possibile sperare ancora. Anche perché da parte imprenditoriale non sembra esserci molta voglia di procedere per questa strada e con un sindacato diviso non è certo facile arrivare a un grande patto, anche solo tra le forze sociali, senza la partecipazione del governo. L’ipotesi di un nuovo patto sociale potrebbe anche uscire dal nostro orizzonte.
Insomma, l’attuale situazione delle relazioni industriali non è molto positiva, ma le cose potrebbero peggiorare. Saperlo non ci fa stare meglio, ma è sicuramente più utile saperlo che trovarsi improvvisamente a dover far fronte al peggio. Del resto, non si vedono antidoti ai guai che potrebbero capitarci. Forse la cosa più intelligente in questa stagione difficile, e proprio perché non sappiamo bene cosa temere, sarebbe quella di tornare ai primordi del sindacato. Che nacque perché i lavoratori vollero dotarsi di un potere che permettesse loro di rafforzarsi e poter contrapporsi ai padroni, quelli sì che erano padroni. E allora è ai lavoratori che occorrerebbe fare sempre riferimento. A cosa chiedono, a cosa vogliono. La realtà può sfuggire, ma proprio per questo occorre avere la massima attenzione ai loro interessi, per evitare il peggio che, lo abbiamo detto, può sempre venire.
Massimo Mascini