Il libro Il sindacato nell’Italia che cambia di Giulio Marcon (e/o, 144 pp., 10,00€) è un processo al sindacato all’interno di un mondo che corre a velocità incontrollata. E la tesi è che se non vuole restare indietro deve necessariamente intraprendere la strada del cambiamento, a partire da un percorso di autocritica. Con questo testo, Marcon – portavoce della campagna Sbilanciamoci!, responsabile di diverse organizzazioni sociali e reti associative, deputato nella XVII legislatura e delegato sindacale Cgil nella Rsa di Banca Etica – rielabora e approfondisce il testo utilizzato per un seminario della Fondazione Basso sul tema del sindacato di strada come soggetto di rappresentanza collettiva e luogo di formazione di identità sociali e politiche che hanno al centro la lotta per l’emancipazione dei lavoratori e delle lavoratrici, la trasformazione dei rapporti economici, la costruzione di una nuova società.
Finita l’era fordista, il sindacato deve necessariamente rinnovarsi e accogliere le sollecitazioni provenienti da un mercato del lavoro sempre più parcellizzato e polverizzato, in cui le identità sono frammentate, le classi sociali sono disgregate, la crisi della politica e dei corpi intermedi arrivata nei pressi di un punto di non ritorno; uscire da una dimensione verticale – gerarchica e autoritaria – per imboccare quella orizzontale – democratica e mutualistica -; abbandonare le scrivanie degli uffici e riversarsi lungo le strade, alla ricerca di coloro i quali non si riconoscono in una rappresentanza (o tutela) sia essa politica o sindacale. Al sindacato, infatti, si impone il dovere di riappropriarsi del territorio e prendere come modello le due esperienze dei bienni rossi – quello del 1919-20 a Torino e nelle altre città del Nord e quello del 1968-69 in Italia – tanto quanto le Camere del lavoro di fine Ottocento: «È sulla strada che si incontra la maggior parte dei lavoratori italiani ed è sulla strada, come nei posti di lavoro, che si può coniugare un ruolo di difesa dei lavoratori e una funzione di trasformazione politica e sociale». In questa prospettiva, la storia non è solo di conforto, ma anche di insegnamento e di stimolo. E così le lezioni di Bruno Trentin e di Vittorio Foa (di cui due interessanti estratti in appendice al libro), di Osvaldo Gnocchi Viani, ma anche di Simone Weil, delle esperienze del Guild Socialism Britannico e del socialismo confederale belga sono la bussola per riorientare l’azione verso un sindacato di strada. «Richiamare la storia del sindacato è il modo migliore per poter capire meglio il mondo di oggi e trarre utili indicazioni per dare nuovo slancio e impulso a un soggetto fondamentale della rappresentanza collettiva. Ed è proprio in quella storia che si ritrova il tratto fondamentale quanto originale del movimento sindacale italiano e della Cgil in particolare: essere un soggetto confederale. Un sindacato che, insieme alla rappresentanza degli interessi parziali, vuole affermare un più generale progetto di trasformazione».
Confederalità, dunque, è la chiave di volta del sindacato di strada e del suo rilancio: combattere la burocratizzazione, il corporativismo, il consociativismo – i tre grandi mali sui cui Marcon insiste con particolare forza -, superare l’autoisolamento e neutralizzare l’attacco rivolto al sindacato – «Lo si vorrebbe, infatti, relegare in un angolo – dice Maurizio Landini nella prefazione -, chiuderlo in un ruolo angusto, aziendalista, presentandolo come una delle tante corporazioni che sarebbero di ostacolo alla crescita del Paese» – al fine di ridare voce al mondo del lavoro e costruire un nuovo protagonismo che sia democratico e inclusivo. Ma non si tratta solo di un cambiamento organizzativo, bensì di cultura e mentalità dei sindacalisti stessi che dovranno rimettersi al servizio della grande causa del lavoro, per richiamare la lezione di Giuseppe Di Vittorio.
Davanti alla disillusione dei cittadini per la rappresentanza, con il sindacato di strada si tesse la trama di un rapporto con il basso del territorio– come insegnano, tra le altre, anche le felici esperienze delle categorie degli agricoli, testimoniate nel libro dal segretario Mininni -, non solo con i lavoratori ma con i cittadini tutti. Abbattere la quarta parete del dialogo e rimettersi in contatto con la società – come con l’esperienza de La via maestra -, con le sue criticità e i suoi drammi, svecchiando i rapporti dalla burocrazia e dai compartimenti stagni. Il concetto di sindacato di strada «evoca anche una proiezione politica capace di interpretare un ruolo di rappresentanza del mondo del lavoro che va oltre quella delle specifiche categorie dei lavoratori: una vocazione verso il perseguimento del bene comune, dell’interesse generale, con cui coincide quello dei lavoratori e delle lavoratrici. La classe operaia è classe generale, capace – liberandosi essa dalle catene – di liberare l’intera società. Un ruolo politico, rivoluzionario».
Il libro di Giulio Marcon è innervato da una insofferenza verso l’immobilismo di un’organizzazione che si sta calcificando in apparato: rigido, sempre uguale a sé stesso, indisposto al cambiamento più per accidia che per malafede.La frustrazione è alimentata dai continui e sempre più allarmanti segnali che il mondo sta lanciando a cui pure si cerca di far fronte con metodi vetusti e ottusi; ma l’onestà con cui un uomo di sindacato mette a processo il suo habitat lascia sperare che tutto possa ancora cambiare. E in meglio. Diceva Nicola Palumbo, uno dei protagonisti di C’eravamo tanto amati: «Credevamo di cambiare il mondo, e invece il mondo ha cambiato noi». Ecco: è arrivato il tempo di far sì che sia il mondo a somigliarci un po’ di più.
Elettra Raffaela Melucci
Titolo: Il sindacato nell’Italia che cambia
Autore: Giulio Marcon
Editore: e/o – Collana Piccola Biblioteca Morale
Anno di pubblicazione: 2024
Pagine: 144 pp.
ISBN: 9788833577623
Prezzo: 10,00€