Works di Vitaliano Trevisan (Einaudi, 22,00€) è uno di quei libri che ti mancano già dalla prima riga di lettura. Eppure la pagine sono tante (650), dense, inevitabile a volte tornare su qualche passaggio di un periodare lungo e faticoso, una sorta di flusso di pensiero profuso dalla mente di questo Leopold Bloom che si aggira nella periferia diffusa del Nord-est: desolata, alienata, disseminata di basiliche industriali. Trevisan racconta la sua vita attraverso il lavoro – o meglio, la sua vita che è stata il lavoro e che contemporaneamente ha influenzato il lavoro stesso -, una vera e propria maledizione che è specchio anche di tutte le idiosincrasie insite nella comunione tra il lavoro e il territorio, nazionale o regionale che sia -«[…] in un Paese che su detta biblica maledizione pretende di fondarsi, e, di nuovo oltretutto, in una regione, il Veneto, e in una provincia, Vicenza, che fa del lavoro una religione – ma ora, forse, più mito che religione». Il primo impiego a sedici anni per guadagnarsi la bicicletta tanto agognata e da lì una sequela di impieghi lunga fino ai quarant’anni che somiglia a una via crucis lungo il Golgota del precariato, della sottoccupazione, dello sfruttamento, del nero e dell’assenza di sicurezza in senso lato.
Works è il racconto del tormento di un uomo che rifugge una carriera borghese sempre uguale a sé stessa il cui unico esito è l’annichilimento – più che la morte – dello spirito, piallato su un modello di vite a schiera che abitano uno dei feudi del capitalismo. Geometra, lattoniere, carpentiere, arredatore, addetto al verde pubblico, magazziniere, gelataio: Vitaliano Trevisan interpreta il lavoro «come altro non sia se non un’invenzione dell’uomo per contrastare l’insensatezza dell’esistenza, per rendere più leggero il peso di quell’insensatezza»; un’insensatezza che pure affronta a viso aperto, con il suo fisico nervoso e lo sguardo inquieto di chi c’è e pure allo stesso tempo è assente, agli altri ma mai a sé stesso, in attesa della sua seconda vita di scrittore e drammaturgo. In questo libro – un memoir che è insieme un monumentale affresco sullo stato del lavoro nel nostro Paese dagli anni ’70 ai primi anni del 2000 – l’autore profana l’etica protestante e lo spirito capitalistico attraverso la terza dimensione del lavoratore-persona, un’ottica mai pietosa ma piuttosto affilata che smitizza il culto sacro del lavoro e fa saltare lo smalto brillante del mito del benessere condiviso. Al di sotto vi si trovano rabbia, frustrazione, alienazione, spersonalizzazione, la soffocante coltre che annebbia un orizzonte di serenità in realtà sempre più lontano. Come pronunciate in un’esperienza extracorporea, le parole di Trevisan sorvolano gli spazi industriali e le teste dei confinati che si aggirano come in un purgatorio consapevoli non esista via di uscita al netto di un’esclusione dal mondo; e allora l’acol, le droghe, le discoteche del sabato sera, le puttane sulla statale sono il cuscinetto che impedisce di non andare a sfracellarsi su una realtà acuminata. Una condanna, questa, che pesa anche sul Trevisan di estrazione piccolo borghese, geometra a tutti i costi per volere della famiglia, e che pure contribuisce a questa farsa senza fine indossando ogni volta un costume diverso nell’affannosa ricerca di senso. La vita lavorativa dell’autore è stata una speculazione filosofica sul mondo e su sé stesso, costruendo a ogni tappa un binomio quasi masochista tra le sue e le miserie altrui spingendolo fino al parossismo, al massimo dolore per una condizione indistricabile e trarne un vantaggio al limite dello spirituale.
Ma non vi è, in Trevisan, una denuncia politica di questo apparato, perché egli era un anarchico: l’autonomia e la libertà per sé stesso, la voglia di rimestare nel mare del lavoro come un detective dell’oscuro per cercare ossessivamente un barlume di senso in quella insensatezza, osservarla senza mai realmente prenderne parte e pure sporcandosi fino al midollo; le deiezioni di quel mondo lo tangono senza mai abbrancarlo e lo spleen di cui la sua anima era impregnata vi si alimentava per aumentare la distanza tra le dimensioni personale e collettiva. Trevisan interpreta empiricamente l’invenzione del lavoro, fa sue le condanne delle migliaia di inconsapevoli Sisifo per espiare un tormento che viene da lontano: «Certo, prima o poi avrei dovuto iniziare a scrivere, ma rimandavo. Meglio vivere un altro po’, mi dicevo, perché quando inizierò a scrivere, se dovessi fallire, allora sì che non avrò alcun posto dove rifugiarmi» e «una volta iniziato, non mi sarebbe stato possibile tornare indietro». Quell’orizzonte di serenità che gli sembrava ogni volta precluso, ogni volta sempre più lontano, non lo raggiungerà mai, perché anche la vita da drammaturgo non risolverà il suo tormento – e anzi, potenzialmente lo catapulterà in un contesto ancora più affastellato di miserie umane.
Durante la lettura di Works si è investiti dalla potenza di fuoco di una nuova letteratura – sincera, cruda, crudele, appassionata e dolente –, con una sensazione di colpa che assale al termine di ogni capitolo. Trevisan non fa la morale, né agli altri né a sé stesso, perché disilluso anzitempo da una promessa cui non ha mai creduto. Il bisogno furioso di senso e di appartenenza – che sempre ci hanno insegnato di ricercare nel lavoro – lui lo rincorre con affanno e repulsione, nella famiglia e nei rapporti, tra i colleghi e le dipendenze, mettendosi e mettendoci costantemente in discussione. Un’intelligenza luminosa, la sua, che con enorme rammarico abbiamo perso troppo presto ritrovandoci a doverci accontentare della mediocrità del lume contemporaneo. Leggere Works, oggi domani sempre, è un’esperienza impagabile e non celebrata a sufficienza, così come il suo autore, perché non si parla solo del lavoro e delle modalità in cui è stato impoverito in tutti i suoi aspetti, ma di un’umanità senza via di scampo e che non contempla eccezioni. E senza andare a cercare troppo in là, preda di un’esterofilia fine a sé stessa, il vate di questa preconizzazione ce l’abbiamo avuto sotto gli occhi e tra le mani.
Elettra Raffaela Melucci
Titolo: Works
Autore: Vitaliano Trevisan
Editore: Einaudi – Stile libero Big
Anno di pubblicazione: 2016
Pagine: 656 pp.
ISBN: 9788806254292
Prezzo: 22,00€