La Fiom-Cgil ha presentato ieri a Roma, con un’apposita conferenza stampa, una ricerca che offre una fotografia originale della situazione attuale della nostra industria metalmeccanica.
Metalmeccanici 2024. La transizione tra sviluppo e crisi: lavoro, salari e profitti. Questi sono il titolo e il sottotitolo dell’indagine, i cui risultati sono stati illustrati da Matteo Gaddi, del Centro studi della Fiom nazionale.
Sullo sfondo della fotografia di cui abbiamo parlato, ci sono i dati relativi al peso dell’industria metalmeccanica sull’insieme delle nostre attività economiche. Peso che, nonostante le tante difficoltà affrontate e le tante crisi di cui ci raccontano le cronache, rimane assai significativo.
Nel 2019, il valore aggiunto prodotto dal settore costituiva il 7,80% del totale prodotto in Italia. Tale peso è sceso al 7,56% nel 2020, l’anno in cui è esplosa la pandemia da Covid-19, per poi risalire all’8,27% nel 2021 e attestarsi all’8,16% nel 2022.
In controtendenza, gli investimenti fissi lordi delle imprese metalmeccaniche. Che, dopo aver costituito il 10,34% del totale nello stesso 2019, e dopo essere rimasti, praticamente, allo stesso livello nel 2020 (10,37%), hanno cominciato a calare nel 2021 (9,70%), per poi attestarsi ancora più in basso nel 2022 (9,14%).
Il periodo considerato dall’indagine Fiom si è poi allargato di un anno, ovvero dal 2019 al 2023, per esaminare l’andamento delle principali voci del cosiddetto “conto economico” delle imprese del settore. Qui è però necessaria un’avvertenza. Mentre le cifre che abbiamo riportato sopra sono frutto di elaborazioni Fiom su dati Istat, adesso parleremo di cifre frutto di elaborazioni effettuate sul noto Database AIDA-BVD. Prendendo dunque i risultati del 2019, l’anno pre-Covid, come “base 100”, si vedrà che il valore della produzione, dopo essere sceso a 90,66 nel 2020, è salito via, via a 114,45 nel 2021 e a 131,43 nel 2022, per attestarsi poi al 133,47 nel 2023.
I costi del personale, dopo il leggero decremento del 2020 (92,83 rispetto alla “base 100” costituita dal 2019), sono sì saliti nel triennio successivo, ma in termini contenuti: 105,4% nel 2021, 111,81% nel 2022 e, infine, 119,48% nel 2023.
Assai diverso, e molto più mosso, l’andamento degli utili aziendali. I quali, dopo essere crollati nel 2020 al 44,20% rispetto alla “base 100” costituita dai risultati del 2019, sono balzati al 127,56% nel 2021, al 173,03% nel 2022 e al 191,56% nel 2023.
Insomma, ricapitolando i dati relativi ai conti economici delle imprese nel quadriennio 2019-2023 fin qui visti, nell’indagine Fiom si può leggere che “a fronte di un incremento del 33,47% del valore della produzione, gli utili sono aumentati del 91,56%, mentre i costi del personale hanno registrato una crescita del 19,48%”.
Morale della favola: “nel 2023 le imprese metalmeccaniche hanno realizzato oltre 30 miliardi di euro di utile”.
E veniamo adesso al punto che, forse, è il più interessante per gli estensori della ricerca. Secondo i quali, “la quota di Valore Aggiunto che va ai lavoratori è diminuita, tra il 2019 e il 2023, di 7,34 punti percentuali”, mentre, nello stesso periodo, “la quota di profitti lordi (Ebitda) è aumentata di 7,63 punti percentuali”. Ne segue che “la distribuzione della ricchezza prodotta (…) è andata a vantaggio dei profitti”.
Passiamo ora a vedere qualche confronto effettuato in campo europeo. Confronti che costituiscono una terza parte dell’indagine, basata su elaborazioni Fiom condotte su dati Eurostat. Qui, in estrema sintesi, si può dire che, confrontando il costo del lavoro orario rilevato in Italia nel 2021 – nei diversi comparti dell’industria metalmeccanica e della installazione di impianti – con quello rilevato in altri tre grandi Paesi industriali (Germania, Francia e Spagna), si vedrà che il costo ‘italiano’ è inferiore a quelli relativi alla Germania e alla Francia e leggermente superiore a quello relativo alla Spagna. Comunque, inferiore alla media UE.
Secondo confronto. Seguendo lo stesso schema di ricerca, risulta che, nello stesso 2021, il valore aggiunto per ora lavorata in Italia risultava, in quasi tutti i comparti, superiore a quello di Francia e Spagna, e comunque superiore alla media UE.
Terzo confronto. Quello che mostra che, nello stesso 2021, l’incidenza del costo del lavoro sul valore aggiunto risultava inferiore, nei vari comparti dell’industria metalmeccanica e della installazione di impianti del nostro Paese, a quella dei Paesi sopra citati.
Ricapitolando con le parole della Fiom. “Dall’elaborazione dei dati, emerge che il peso del comparto metalmeccanico”, nel nostro Paese, “è in crescita, sia per incidenza del valore aggiunto sull’intera attività economica (…), che per numero di occupati. Contestualmente, crescono anche il fatturato e gli utili delle imprese (nel 2023 oltre 30 miliardi). Mentre i salari e gli investimenti non sono stati proporzionali all’aumento dei profitti d’impresa”. Inoltre, in Italia “il valore aggiunto per ora lavorata è superiore”, in quasi tutti i comparti metalmeccanici, “alla media dell’Unione Europea”.
Ci pare quindi di poter dire che l’immagine dello stato dell’industria metalmeccanica offerta dalla ricerca Fiom sia notevolmente diversa da quella offerta da altre fonti vicine a questo stesso campo d’indagine. In particolare, ciò è vero per quanto riguarda la sottolineatura della tesi secondo cui, come si è già visto, “la distribuzione della ricchezza prodotta” sarebbe andata “a vantaggio dei profitti”. Un’affermazione, questa, che appare destinata a trovare più di qualche eco, essendo stata diffusa nel bel mezzo di un conteso rinnovo contrattuale.
Ma non si deve credere che la ricerca Fiom sia stata volta solo a sottolineare il buon stato di salute delle imprese del settore. Al contrario. Nella presentazione dell’indagine è stato infatti ricordato che “la crescita economica” è attualmente segnata “dal permanere di alcune importanti aree di crisi”. “Specchio di questa situazione – scrive ancora la Fiom – sono i tavoli di crisi aperti al Ministero delle Imprese e del Made in Italy.”
Dopo l’illustrazione della ricerca, nella storica sede dei sindacati metalmeccanici sita in corso Trieste, ha preso la parola Michele De Palma, Segretario generale della Fiom. Il quale, anche sulla scorta dei dati dell’indagine sin qui citata, ha sostenuto che “occorre rimettere al centro il ruolo e il peso dell’industria manifatturiera”. Spiegando poi che, a tale scopo, è necessaria un’autonomia strategica di scala europea. “O l’Europa decide di produrre il proprio futuro – ha quindi scandito – o sarà costretta a comprarlo da altri.”
De Palma ha poi ricordato che i sindacati italiani dei metalmeccanici hanno lavorato col sindacato IndustriAll European Trade Union proprio per costruire una proposta di livello europeo. Una proposta che, nella consapevolezza della complessità dell’attuale scenario globale, sia volta a difendere e sviluppare la capacità produttiva dell’insieme dei Paesi che compongono l’Unione Europea. Una proposta, ancora, che viene veicolata sotto lo slogan Work now for the future. E cioè, più o meno, diamoci da fare adesso per il nostro futuro.
@Fernando_Liuzzi