Caro Direttore, quando una persona della tua storia, della tua esperienza e delle tue conoscenze si spende a dare garanzie per Maurizio Landini, chi, come me ha vissuto una vita parallela alla tua ha il dovere di dissentire proprio per rispetto di quella Cgil in cui ho trascorso i migliori anni della mia esistenza. Innanzi tutto devo complimentarmi con te perché sei uno dei pochi – a mia conoscenza – che è in grado di trovare un filo logico nel vociare scomposto (dove il diapason dei toni sostituisce gli argomenti) del leader della Cgil. Per quanto mi riguarda a me hanno insegnato che quanti hanno delle responsabilità importanti hanno il diritto di dire ciò che pensano, ma anche il dovere di pensare a ciò che dicono. Se qualcuno, intervenendo nel dibattito, si fosse azzardato a nascondere la sua opinione attribuendola genericamente ai lavoratori, Luciano Lama lo avrebbe interrotto con queste parole: “So bene che cosa dicono i lavoratori; vorrei sapere che cosa dici tu a loro”. Io accuso Landini e i suoi sodali di raccontare un Paese che non esiste, quanto meno nei termini descritti dalla loro narrazione. L’Italia ha tanti problemi, ma è un Paese migliore di quello che dovrebbe riscattarsi attraverso una “rivolta sociale”. Ed è tale anche grazie ai sindacati e alla Cgil, al loro lavoro quotidiano nelle aziende e nella società. Il 97% dei lavoratori dipendenti sono “coperti” da contratti collettivi stipulati da Cgil, Cisl e Uil, contratti che riconoscono diritti sindacali importanti consolidati da mezzo secolo nello Statuto dei lavoratori. All’inizio dell’anno che sta finendo c’erano poco meno di 8 milioni di lavoratori in attesa di rinnovare un contratto scaduto, per di più penalizzati da una fiammata inflazionistica non prevista, ben presto rientrata. In pochi mesi quel numero si è dimezzato, senza che si rendesse necessaria una conflittualità esasperata. Basti pensare che gli stessi metalmeccanici si pongono ora, dopo mesi di negoziati, il problema del ricorso all’astensione del lavoro. Contemporaneamente si sviluppa una ricca contrattazione aziendale rivolta ad assicurare un maggior benessere ai lavoratori e alle loro famiglie. Ma nella narrazione di Maurizio Landini (in grande sintonia con Bombardieri) tutte queste esperienze svaniscono nel buio di una notte in cui tutte le vacche sono nere. Le buone notizie vengono segretate perché altererebbero quel quadro di sfascio che sostiene la guerra aperta al governo e alla maggioranza di destra. Poi, caro Massimo, non intendo cadere nella trappola del ruolo del sindacato “autonomo dai padroni, dai partiti e dai governi”. Anche se mi è difficile non constatare che un sindacato serio, come la Cisl, esprime un giudizio diverso (persino positivo) sulla manovra di bilancio 2025. Tu potresti obiettare che la Cisl è la sola organizzazione che ha questa posizione, ma che la manovra è criticata anche da Banca d’Italia, UPB e Confindustria. Io risponderei che si tratta di critiche condivisibili perché la manovra non ha coperture adeguate. Ma non sono queste le critiche del duo Landini-Bombardieri, la cui impostazione, quando si sottrae dagli slogan pressappochisti, si incammina sui passi perduti di una politica che porterebbe il Paese a sbattere sotto il crollo di una montagna di debito pubblico. Riconosco che hai ragione tu su di un altro aspetto: in tutto il mondo il sindacato è una specie di centauro con i piedi attaccati al terreno e la testa nella politica, a fianco di quella che è, nelle differenti realtà, la sinistra, con la quale il sindacato condivide le origini e i natali. Pertanto Landini, e con lui tutti i sindacalisti, non hanno mai dichiarato di non fare politica, al contrario, hanno sempre rivendicato – come scrivi – la loro azione nell’agone politico. Gliene riconosciamo il diritto. Del resto, la loro predicazione è la stessa da anni; scoprirla adesso è come inventare l’acqua calda. Ma perseverare è diabolico, soprattutto quando si corre il rischio di logorare con il suo abuso un diritto fondamentale di libertà. La Cgil e la Uil vogliono far cadere il governo a colpi di scioperi generali? Abbiano l’onestà di rendere trasparenti e palesi gli obiettivi che perseguono. Lo dicano e chiamino a scendere in piazza (perché a questo si è ridotto ormai un diritto usurato dall’abuso) tutti coloro che condividono questo disegno. Chi aderirà allo sciopero del 29 novembre eserciterà sicuramente un suo diritto. Ma chi – come Landini in un’intervista – si permette (per di più arbitrariamente) di contrapporre, ricorrendo all’alchimia dei numeri, una democrazia minoritaria della piazza, protesa alla “rivolta sociale”, ad una democrazia rappresentativa eletta – in base alla legge – in Parlamento è esposto alle medesime tentazioni di Nicolas Maduro. Ma per nostra fortuna l’Italia non è ancora il Venezuela. E’ molto triste, però, sentirsi difesi dalla destra.
Giuliano Cazzola