La Finanziaria sbarca in Parlamento e per il ministro del Tesoro Giorgetti è l’equivalente della “notte delle streghe”, in cui il tradizionale assalto alla diligenza delle casse pubbliche, a colpi di emendamenti di qualche forza di maggioranza, può far saltare equilibri di bilancio faticosamente centellinati. Stavolta, il governo appare abbastanza solido da reggere – se crede – l’urto delle corporazioni e condurre in porto la manovra, così come è scritta, senza perdere troppi pezzi. Il dubbio, però, è che questo sia solo un blando antipasto e che la notte delle streghe – quella vera – sia destinata ad iniziare soltanto dopo il voto del Parlamento, quando la manovra comincerà a navigare nella realtà. Per dirla in modo un po’ rozzo: i numeri della Finanziaria stanno in piedi solo grazie ad un gioco delle tre carte?
Non è un dubbio solo, ma sono due. Il primo riguarda specificamente la manovra. I numeri sono quelli giusti. Nonostante i timori di derive populiste, il deficit di bilancio è previsto in discesa, fino ad arrivare sotto il 2 per cento nel 2026, nonostante che, contemporaneamente, vengano scaricate sul bilancio dello Stato maggiori spese per 17 miliardi l’anno (è l’1 per cento del Pil nazionale) per rendere permanenti le riduzioni di Irpef e cuneo fiscale. Ma come è riuscito questo gioco di prestigio?
Un esperto come Carlo Cottarelli nota come, nelle tabelle della Finanziaria, l’entità della spesa pubblica, la pressione fiscale, i redditi patrimoniali risultino sostanzialmente invariati in percentuale sul Pil , fra il 2024 e il 2025. E, dunque, da dove arrivano questi soldi in più? La differenza, in effetti, è alla voce “altre entrate”, che risultano in aumento per 9 miliardi di euro, che è anche l’entità del deficit di bilancio. La tentazione di pensare che le “altre entrate” siano lì solo per coprire il buco, come nelle contabilità addomesticate, è forte. Solo un sospetto, ma, per fugarlo, sarebbe importante capire di quali entrate si tratta e quanto siano verosimili. Che non si tratti, ad esempio, degli incassi di future e incerte privatizzazioni. Se qualcuno aveva, poi, puntato le sue speranze nel concordato fiscale proposto alle partite Iva (nessun controllo se fate una dichiarazione verosimile) sarà rimasto deluso. L’afflusso è modesto, tanto da far partire l’idea di una dilazione, ovvero un grande classico del fisco italiano, dove le parole “ora o mai più” vengono ripetute ad ogni scadenza. Ma per professionisti, artigiani, commercianti (campioni della sottodichiarazione, come ha dimostrato l’ufficio studi della Banca d’Italia) più del concordato è conveniente aspettare il prossimo condono.
Il secondo dubbio è più radicale e riguarda il motore che dovrebbe far marciare la manovra. Più intensa l’attività economica del paese, più alte le entrate che si prevede arriveranno nelle casse dell’erario. Peccato che la previsione ufficiale di una crescita dell’1,2 per cento del Pil 2025 sia una scommessa isolata che non trova riscontro a livello internazionale (Ue, Fmi, Ocse, Bce) dove si crede di più ad uno 0,6-0,8 per cento.
In effetti, la crescita italiana degli ultimi due anni risulta drogata dall’onda lunga del Superbonus. Chiusa quella partita, per non venir travolti dai debiti, e fermata l’edilizia, l’economia si è spenta. Aumento zero del Pil nell’ultimo trimestre, occupazione in calo, esportazioni sotto dello 0,4 per cento. E, poi, fatturato in discesa da due anni: meno 3,6 per cento in volume per l’industria e, ora che si è fermata l’inflazione, meno 4,6 per cento in valore. Non si vende più e non si incassa. Anche i servizi perdono colpi, a indicare che neanche il turismo ci tiene a galla: meno 4 per cento in volume, meno 2 per cento in valore.
Basterà l’inversione a U della Bce che, dallo scorso giugno ha iniziato con gran cautela a tagliare i tassi di interesse, preoccupata di un ristagno che avvolge tutta l’Europa (altra pessima notizia per un paese, come il nostro, che vive di esportazioni) a ridare slancio all’economia? I tecnici dicono che occorrono, più o meno, 12-18 mesi perché le misure di politica monetaria si trasmettano alle banche, al mercato del credito, alle imprese e, infine, ai consumatori. Fuori tempo massimo per la manovra 2025.
Maurizio Ricci