Il provvedimento sul cosiddetto concordato preventivo biennale destinato ai titolari di partite Iva, quindi professionisti e imprese, fornisce spunti per alcune considerazioni interessanti.
La prima è una digressione sulla concezione di fondo che da tempo la dottrina tributaria discute circa i criteri di determinazione della base imponibile. Il criterio tradizionalmente applicato, perché ritenuto più conforme al principio costituzionale della capacità contributiva, è quello della cosiddetta determinazione analitica del reddito teso ad individuare il reddito effettivamente percepito dal contribuente da sottoporre a tassazione. Quindi l’obiettivo è individuare il reddito da tassare quale risultato attento e preciso di tutte le autodichiarazioni del contribuente, rettificato e integrato da tutte le specifiche previsioni di legge nonché dai risultati dei controlli eventuali operati dal fisco, al fine di descrivere nella maniera più specifica la condizione del singolo contribuente. Il criterio opposto è quello invece di una determinazione previsionale cioè preventiva del reddito da attribuire al contribuente. Mentre in passato questo criterio era rifiutato in quanto non si disponeva di strumenti sufficientemente affidabili per poter costruire un reddito ipotetico e verosimile, oggi con la tecnologia digitale, con la facilità di accessi ai dati e non escludo in un prossimo futuro anche con l’apporto della IA, l’amministrazione finanziaria è in condizione di conoscere esattamente la situazione finanziaria e patrimoniale del singolo contribuente anche nella sua evoluzione temporale tanto da poter formulare così delle previsioni circa i risultati dell’attività lavorativa in un futuro prossimo attribuibili al contribuente.
La valutazione dei due criteri impone la scelta tra due scenari differenti. Nel primo caso il reddito determinato è molto prossimo a quello effettivamente percepito dal soggetto, però a fronte di costi non irrilevanti rappresentati da tutta la mole di obblighi e adempimenti amministrativi in capo al contribuente nonché alla necessità di una onerosa attività di controllo da parte dell’amministrazione finanziaria che trova soluzione il più delle volte in sede contenziosa. Il gettito in questo contesto ha dei margini di incertezza sia nella sua effettiva consistenza sia nei tempi di acquisizione da parte dello Stato.
Nel caso della cosiddetta determinazione presuntiva del reddito su cui far pagare le imposte, risultante dall’applicazione di parametri e grandezze individuate per specifiche categorie di contribuenti, la soluzione si sostanzia in un patto tra fisco e contribuente. Il rischio è che la previsione sia imprecisa, sia per eccesso che per difetto e quindi il patto configura una sorta di scommessa tra le parti. A fronte di questo però al contribuente saranno risparmiati i costi di gran parte degli adempimenti amministrativi nonché dello stress di controlli da parte dell’amministrazione finanziaria che infatti ne ridurrebbe l’attività. Il gettito ne beneficerebbe in certezza e prevedibilità sia nella consistenza che nei tempi di riscossione.
Il provvedimento del concordato preventivo biennale è esattamente figlio di questa scelta.
Le previsioni elaborate dall’Amministrazione finanziaria e proposte ai contribuenti sono quindi sostanzialmente in linea con i dati storici già dichiarati, con la previsione di una sostanziale stabilità oppure di contenuti miglioramenti per l’anno successivo. Inoltre, a chi accetterà la proposta è riconosciuta anche la possibilità di aumentare il proprio reddito già dichiarato per gli anni 2018-2022 con il pagamento di un’aliquota massima del 15%. E’ stata impropriamente dichiarato condono ma in realtà è una sorta di franchigia a pagamento che nel caso in cui fossero sottoposti a controllo i redditi di quelle annualità le rettifiche opererebbero solo per gli importi superiori alla franchigia stessa.
Sebbene inizialmente si sia gridato allo scandalo per l’ennesimo provvedimento a favore di professionisti e imprese, nel subcosciente collettivo individuati come i principali evasori fiscali, il provvedimento a pochi giorni dallo scadere del termine per aderire alla proposta dell’Amministrazione ha riscosso pochissime adesioni. V’è da concludere che qualcosa non ha funzionato.
Il mancato gradimento da parte dei contribuenti induce a due conclusioni. La prima e forse più preoccupante è che i contribuenti evidentemente non considerano probabile la previsione di una sostanziale stabilità né tanto meno di un incremento del proprio reddito nel prossimo futuro. Anzi la ritengono talmente improbabile che non valutano conveniente correre il rischio di dover pagare imposte su redditi che non percepiranno. Inoltre, neanche l’offerta di una sistemazione fiscale degli anni passati con versamenti pari al massimo del 15% degli incrementi già dichiarati è ritenuta una offerta appetibile.
Pessimismo verso il futuro e coscienza pulita per il passato.
Alessandro Meloncelli