Una cosa è sicura: i metalmeccanici, le manifestazioni le sanno ancora fare. Lo si è visto bene oggi a Roma, dove – in occasione dello sciopero generale del comparto metalmeccanico dell’automotive, indetto da Fim, Fiom e Uilm – si è svolta una vivace manifestazione nazionale. Un’iniziativa ben riuscita che è stata contrassegnata da diversi aspetti positivi.
Il primo aspetto è quello organizzativo. Al momento in cui scriviamo, non disponiamo ancora di dati relativi allo sciopero. Ma la manifestazione l’abbiamo vista. Migliaia di lavoratrici e lavoratori (20.000, secondo gli organizzatori), provenienti da siti automotive noti e meno noti, hanno dato vita a un animato corteo che si è snodato da piazza Barberini fino a piazza del Popolo. E i cui partecipanti hanno poi ascoltato con attenzione e partecipazione gli interventi dei diversi oratori succedutisi sul palco.
Il secondo aspetto è quello mediatico. Al momento in cui scriviamo, ovviamente, non abbiamo ancora visto, né ascoltato, i notiziari televisivi e radiofonici di stasera, né abbiamo potuto leggere i giornali di domani. Però abbiamo visto, prima nel corteo e poi in piazza del Popolo, numerose e diffuse presenze di taccuini, microfoni e telecamere, con i non pochi cronisti e tecnici che di tali strumenti si sono avvalsi.
Il terzo aspetto è quello sindacale/unitario. Come è noto, nel mondo sindacale, almeno per ciò che riguarda il nostro Paese, si vive una fase in cui i rapporti fra le tre maggiori Confederazioni sono tornati a farsi difficili, specie per ciò che riguarda i giudizi, e quindi i comportamenti, relativi all’azione di governo dell’attuale Esecutivo, quello guidato da Giorgia Meloni. Nelle categorie dell’industria, invece, il confronto con le controparti imprenditoriali tende a produrre una maggiore unità del fronte sindacale.
Ebbene, oggi, sia nel corteo che negli interventi conclusivi della manifestazione, si è respirata un’atmosfera molto unitaria. Tanto per fare un esempio, ascoltando le parole pronunciate davanti al microfono dai delegati provenienti da diversi siti coinvolti nell’iniziativa, e senza aver sentito con quale qualifica erano stati presentati al pubblico, sarebbe stato molto difficile capire chi era della Fim, chi della Fiom e chi della Uilm. E ciò dimostra che in questo periodo, ormai non breve, di crisi del settore, i sindacati dei metalmeccanici sono stati capaci di dare vita a una vera riflessione comune. Una riflessione che ha piantato solide radici nei luoghi di lavoro e si è quindi tradotta in iniziative unitarie.
Anzi, in iniziative talmente unitarie che hanno calamitato l’adesione e la presenza congiunta dei leaders delle tre maggiori Confederazioni. Tanto che, cosa al momento non consueta, dietro allo striscione unitario, i Segretari generali di Cgil, Landini, Cisl, Sbarra, e Uil, Bombardieri, hanno marciato fianco a fianco lungo il percorso del corteo.
Nella manifestazione odierna c’è però anche stato un quarto aspetto positivo che merita di essere sottolineato. Ci riferiamo al suo carattere internazionale.
Già ieri i sindacati dei metalmeccanici avevano annunciato che all’iniziativa odierna avrebbero partecipato dirigenti di sindacati esteri – come la francese Cgt-Ftm, le spagnole Comisiones Obreras (CCOO) e la statunitense UAW – o internazionali, come IndustriAll Global.
Ma la vera sorpresa sono stati i due interventi pronunciati, dal palco di piazza del Popolo, da due di questi sindacalisti. Ci riferiamo alla britannica Judih Kirton Darling, Segretaria generale della confederazione europea IndustriAll Europe, e all’americano Brandon Campbell, Direttore della Regione 4 della già citata UAW (United Auto Workers). Due interventi che sono stati pronunciati in inglese, ma sembravano pensati da oratori italiani.
“Per ciò che riguarda il settore dell’automotive – ha esordito Kirton Darling – oggi in Europa non si può usare un’espressione come business as usual”, ovvero non si può dire che “le cose vanno come al solito”. E ciò perché “quello in corso è un processo di deindustrializzazione”. E ancora: “Le imprese parlano di riduzione dei costi”, ma poi “scaricano tutto sui lavoratori”. E quindi? Quindi, ha scandito la sindacalista, “chiediamo investimenti, un piano per la trasformazione dell’industria”. Aggiungendo poi che “Ursula von der Leyen deve dimostrare di essere dalla parte dei lavoratori”, e che ciò che è necessario, adesso, è “un blocco dei licenziamenti”. Inoltre, l’Unione Europea deve avviare un serio lavoro, anche di studio, volto a concepire e avviare una transizione socialmente accettabile.
È stata poi la volta di Brandon Campbell. Il quale ha raccontato che, un giorno, l’Amministratore delegato di Stellantis, Carlos Tavares, disse che intendeva trasferire in Messico i posti di lavoro dell’impianto di Belvidere, nell’Illinois. “Ma noi – ha scandito Campbell – abbiamo resistito con una lotta a oltranza. Gli abbiamo risposto che doveva investire da noi. E abbiamo vinto!” “Abbiamo quindi visto – ha proseguito Campbell – l’impegno di Stellantis per riaprire il nostro stabilimento. In pratica, un impianto che era stato chiuso stava per riaprire. Ma ecco che, ora, Tavares sta cercando di rimangiarsi l’impegno. Ma noi non lasceremo che Tavares uccida la nostra fabbrica. E facciamo appello a tutti i lavoratori a unirsi alla nostra lotta. Un’economia globale, chiede una solidarietà globale.”
Agli interventi di delegati del Nord e del Sud del nostro Paese, dalla Lear di Grugliasco (Torino) alla Bosch di Bari, dalla Stellantis di Pomigliano d’Arco (Napoli) alla GKN di Firenze, hanno poi fatto seguito gli interventi conclusivi dei Segretari generali dei sindacati confederali dei metalmeccanici: Michele De Palma (Fiom-Cgil), Rocco Palombella (Uilm-Uil) e Ferdinando Uliano (Fim-Cisl). Interventi il cui senso crediamo di poter riassumere con la richiesta di una trattativa a Palazzo Chigi che coinvolga il vertice di Stellantis e impegni il Governo italiano a definire una sua posizione su una crisi che, nata nell’industria dell’auto propriamente detta, ha ormai coinvolto tutta la componentistica. Una crisi che, se non governata, rischia di compromettere l’esistenza di decine di migliaia di posti di lavoro.
Fernando Liuzzi